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Questo articolo è stato pubblicato il 21 agosto 2013 alle ore 08:36.

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Il prossimo 12 settembre saranno trascorsi cinque anni – un lustro – dalla morte del saggista e romanziere americano David Foster Wallace. Molti suoi lettori, come accade per i grandi traumi collettivi – vedi Twin Towers (1) – ricordano dove si trovavano e che cosa stavano facendo il giorno della scomparsa (2).

Su quel lutto inaspettato è stato anche scritto un libro (3) . Una settimana dopo la morte, sul New York Times, com'è stato ripetuto fino alla ridondanza e all'antonomasia, Wallace venne riappellato «The best mind of his generation». Un altro scrittore americano, Bret Easton Ellis, disse invece che «chiunque lo giudichi un genio letterario dovrebbe essere incluso nel pantheon degli imbecilli». Può essere. Fu la moglie, Karen Green, a trovarlo impiccato alle 9 e mezza di sera nella loro casa di Claremont (California). Aveva 46 anni. Nel garage c'erano circa 200 pagine di un manoscritto che insieme ad altro materiale formava il suo terzo romanzo, uscito postumo col titolo Il re pallido(4).
L'Italia fu il primo Paese al mondo, nel 1997, a riconoscere il potenziale e il talento di DFW grazie alla casa editrice che ne acquistò i diritti (5). Il suo romanzo più celebrato, Infinite Jest, fu pubblicato in Italia nel 2000 e in Germania soltanto nel 2009 (6). Una volta, in un'intervista a risposta multipla rilasciata per lettera (7) , disse di aver letto e riletto Italo Calvino e che Calvino era il suo scrittore italiano preferito. Nell'estate del 2006, vincendo la sua fobia per l'aereo, venne in Italia e passò una settimana a Capri (8). Era la prima volta che usciva dagli Stati Uniti.

Il mare oro e azzurro e la lirica, odorosa bellezza di Capri corrispondono pochissimo all'universo poetico di DFW; eppure, durante un talk con Antonio Monda, disse che la lingua italiana era per lui come una musica, per quanto «it doesn't stick in my brain» (e il collega e amico Jonathan Franzen, seduto tra il pubblico, per qualche ragione cambiò posizione sulla sedia, forse riaccavallò le gambe, e sorrise stupito, meravigliandosi ancora della mente e dei talenti comunicativi e linguistici di un amico). E inoltre: di Capri e di quel cibo organoletticamente così diverso dal cibo di Clermont, s'innamorò (9).

Amava la matematica (10) e si divertiva ad inventare parole nuove, come quando in una lettera a Franzen scrisse: «Fiction for me is a conversation between me and and something that May Not Be Named - God, the Cosmos, The Unified Field, my own psychoanalitic catexies, Roqoq'oqu (11)». Adoperava moltissimo le note, centinaia di note a piè di pagina che si aprivano come frattali. Aveva inciso sul braccio il nome di una vecchia fidanzata, poi cancellato e sostituito col nome Karen, evidenziato da una nota ad asterisco. Usava spesso la parola "eccetera"(12).

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