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Questo articolo è stato pubblicato il 23 agosto 2013 alle ore 06:50.

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In questi mesi è stato particolarmente acceso un dibattito su quale debba essere il ruolo dei privati nella valorizzazione del nostro patrimonio culturale e due importanti commissioni appena costituite, una presieduta dal Prof. Settis per la revisione del Codice dei Beni Culturali e una dal Prof. D'Alberti per la ristrutturazione del Ministero e il rilancio della cultura avranno il compito di dettare le linee strategiche e operative per l'azione della complessa macchina ministeriale nei prossimi anni anche in rapporto a questo ambito.

Come purtroppo abbastanza frequentemente succede nel nostro Paese gli scontri ideologici impediscono di guardare a realtà diverse, fuori dai nostri confini e di costruire un confronto che porti a soluzioni realistiche per affrontare una situazione drammatica come quella dello stato del nostro patrimonio nazionale. Una necessaria premessa: per privati si devono intendere vari ambiti gli sponsor, i mecenati, il terzo settore, l'impresa culturale. Tutti questi contesti, se opportunamente coinvolti possono dare un formidabile contributo per mantenere il patrimonio nazionale e in alcuni casi persino salvarlo dal degrado.

Il primo ambito è quello di cui un efficace esempio è stato l'accordo tra il Mibac e Diego della Valle per il restauro del Colosseo, accordo contestatissimo da chi ritiene che si sia svenduto il marchio del monumento più importante d'Italia ad un fabbricante di scarpe. Utile ricordare che tante voci non si erano levate mai in passato davanti agli infiniti oggetti che sulle bancarelle di mezzo mondo raffiguravano il Colosseo. Diego Della Valle rappresenta una delle più felici esperienze imprenditoriali di questo Paese, che ha avuto il merito di esportare il nostro Made in Italy nel mondo. Certo, il suo contributo sarà anche una formidabile operazione di immagine per il suo gruppo. Uno scandalo? Forse che a Londra ci si è scandalizzati quando è stata chiamata e tuttora si chiama "The Sainsbury wing", dalla celebre famiglia di imprenditori della grande distribuzione, la nuova ala della National Gallery, Museo che, va sempre ricordato, è gratuito? Oppure, a fronte di importanti contributi anche di aziende, la cessione dell'apertura di grandi mostre destinate solo ai clienti più affezionati? Lo sponsor, oltre al vantaggio fiscale, vuole ovviamente anche un ritorno in termini di "awareness" per il proprio marchio il che non significa affatto mercificare l'arte ma semplicemente garantire a chi sostiene un istituzione culturale un riconoscimento pubblico ovviamente nel rispetto della vocazione del bene e della sua tutela.

Il mecenate: anche su questo concetto regna una certa confusione e erroneamente viene definito mecenate chi dà senza aspettarsi nessun ritorno. Annette de la Renta generosa filantropa, moglie del celebre sarto Oscar de la Renta, è la Vice Presidente del Consiglio di Amministrazione del Metropolitan Museum di New York. Nel Board del British Museum di Londra siede Martin Sorrell uomo d'affari e presidente del WPP Group una delle maggiori società di comunicazione, media e pubblicità del mondo. Strano? No, anzi. Porte aperte al suo contributo probabilmente oltre che economico fatto di idee. Il mecenate al di là di un vantaggio fiscale legato alla donazione determinante e da noi nel caso dei privati risibile, più ha dimostrato generosità più intenderà mantenere un rapporto con l'istituzione che gli potrà persino permettere di avere voce in capitolo anche nella gestione. In particolare nel mondo anglosassone i mecenati si dimostrano molto attenti a come vengono gestite le risorse raccolte e volentieri pretendono voce in capitolo negli organi di rappresentanza. Senza contare le targhe e i pubblici riconoscimenti come le stanze intitolate a donatori singoli alla National Gallery di Londra a fronte di un contributo particolarmente rilevante. Gli esempi potrebbero essere infiniti per descrivere come la governance delle istituzioni culturali abbia coinvolto all'estero privati e aziende in un modo efficace e risolutivo per far fronte al calo dei contributi pubblici evidentemente sempre necessari ma non più sufficienti senza che lo Stato abdicasse alla sua funzione di custode del patrimonio nazionale.

Si apre, infine, l'argomento, forse più contestato: il ruolo del terzo settore e dell'impresa culturale. Le fondazioni, anche quelle cosiddette di partecipazione, devono essere meri strumenti di gestione in mano dello Stato o strutture indipendenti e aperte anche a contributi e controlli privati? In Italia si è adottata la strada peggiore: strutture spesso amministrativamente imbavagliate, incapaci, tranne felici eccezioni in luoghi che hanno visto amministratori lungimiranti come il caso non isolato di Torino, di attrarre sostegni privati e non sempre sostenute dallo Stato che non ha incluso nei criteri per l'attribuzione di contributi pubblici il merito e la buona gestione. Strutture ambigue, le nostre Fondazioni, presiedute, come nel caso delle Fondazioni liriche, dai Sindaci delle città, rigide nella gestione delle risorse umane. Necessaria e meritevole è quindi l'intenzione manifestata dal Ministro Bray di voler rivedere questi ingarbugliati statuti e cercare di armonizzarli con criteri trasparenti e omogenei. Esiste anche un terzo settore sussidiario, oggi fondamentale. Un esempio è Il Fai, benemerita Fondazione che ho presieduto dal 2010 al 2013, nata sul modello inglese del National Trust.

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