Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 25 novembre 2013 alle ore 08:18.

My24

Circa trent'anni fa, molto prima di iniziare a interessarmi di ristoranti con la scusa che fosse un lavoro oltre che un piacere privato, cominciai a sentir parlare con entusiasmo dei Santini. Erano un po' delle mie zone, quantomeno di quelle elettive. Brescia e il lago di Garda, i luoghi da cui provengo, hanno infatti un'insignificante tradizione culinaria, fatta di spiedo di uccellini dal becco gentile (bottacci, allodole, fringuelli, pettirossi) e di poco altro. Una cucina rude, da cacciatori.

Ma appena più giù, nella provincia di Mantova, sprofondando nel cuore umido di quella pianura Padana che sarebbe al centro di tutto ma in effetti è lontana da tutto e va percorsa per chilometri di nebbie e fossi e campi tutti uguali, c'è una spettacolare cultura culinaria, di carni e di pesci di fiume, di pasta sfoglia e dei suoi ripieni, di zucche e mostarde. Sarà l'eco dei gusti estetizzanti della corte dei Gonzaga, sarà l'abbondanza di materia prima sopraffina, fatto sta che in provincia di Mantova si è sempre mangiato bene. Ci si andava non per il festival della letteratura bensì per il cibo, scambiandosi indirizzi di trattorie, osterie, corti con cucina dove c'erano sempre madri e nonne intente a tirare la sfoglia di agnoli e tagliatelle, mentre lungo gli argini dei fiumi e nella sacca irrigua delle campagne si sfilettavano lucci e si arrostivano anguille, si farcivano capponi e si affettavano salami e cotechini, si frollavano fagiani e si impastavano dolci della domenica.

Ma i Santini sono un'altra cosa. I Santini sono quelli che hanno trasformato un'osteria – creata nel 1925 dal nonno pescatore e dalla nonna emigrante di ritorno (dal Brasile) – in un locale che dal 1990 è Relais Gourmand dei Relais & Chateaux, e dal 1996 ha tre stelle Michelin, ed è dunque il ristorante italiano che le detiene da più tempo. Se c'è una tradizione italiana di alta cucina, il Ristorante dal Pescatore è il luogo dove la troviamo incarnata. Volendo poi aggiungere un'ulteriore medaglia, secondo la classifica 2013 della celebre guida modernista World's 50 Best Restaurants, Nadia Santini è la migliore chef del mondo. Può sembrare una scemenza, la classifica delle donne cuoco, anche perché ci si chiede se in futuro bisognerà farne una dei transgender: la cucina non è una prestazione sportiva ma un gesto tecnico, culturale e anche artistico, e non si capisce perché il risultato vada differenziato in base ai sessi. Eppure... se il riconoscimento l'avessi vinto io, che detesto l'idea delle classifiche di genere, me lo terrei lo stesso e sarei orgogliosa di questa medaglia, perché sinora nei grandi ristoranti del mondo le donne sono poche decine, a meno di non volerle andare a cercare tra le lavapiatti e tra chi rigoverna dopo la chiusura.

Torniamo ai Santini: ci sono i fondatori, il pescatore Antonio con la moglie Teresa. È il 1925. Nel 1927, i due hanno un figlio, Giovanni, che si appassiona a quel lavoro e lo prosegue con la moglie Bruna, che ancora oggi dà il suo contributo quotidiano. Nel 1953 nasce Antonio, che poi con la moglie Nadia imprimerà la svolta: con le loro ambizioni, i viaggi di studio in Francia, il "fare sistema" con altri grandi cuochi italiani (l'associazione Le Soste), porteranno la trattoria a diventare un grande ristorante conosciuto in tutto il mondo. E poi ci sono i loro figli: Giovanni, che dal 1996 ha affiancato Nadia in cucina, e Alberto, che gestisce la sala con il padre Antonio e con Valentina, moglie di Giovanni. Tutti questi nomi uguali, benché di generazioni diverse, servono a introdurre un discorso sull'alta cucina europea, che è fatta di due generi di ristoranti: quelli di varie generazioni di una stessa famiglia – sempre più rari –, e quelli con uno star chef.

Le differenze sono notevoli, spesso anche nel piatto. Lo star chef è un solista di solito ingaggiato da una grande compagnia di alberghi, oppure da una società di cui possiede una quota anche consistente. Gioca in una sorta di campionato in cui esistono ingaggi e sponsorizzazioni, e di solito fa parte della categoria degli innovativi e degli eccentrici: è uno specialista di quella cucina che la Guida Michelin definisce «creativa» e altri invece chiamano «modernista» o «tecno emozionale». La famiglia di ristoratori, invece, è radicata sul territorio. Il ristorante, che di rado è in città, gli appartiene; in cucina sono passate varie generazioni; in sala come patron, maître, sommelier e anche tappabuchi, ci sono mariti, mogli, figli, cognati che svolgono il proprio compito addestrati ai massimi livelli internazionali. Spesso, nella storia del locale, c'è stata un'evoluzione, sull'onda delle ambizioni di un figlio. Quasi sempre, così come la struttura della gestione è famigliare, lo è anche l'ispirazione della cucina. Questo significa che potete portarci anche vostra nonna per festeggiarla, perché apprezzerà e capirà cosa ha mangiato. Ma la disgregazione delle famiglie, la voglia di cambiare, l'insofferenza per la vita di provincia, fanno sì che questi ristoranti famigliari, che hanno costruito l'ossatura della grande cucina francese, alsaziana, in qualche caso spagnola e bavarese, nonché di quella italiana, siano ora sempre più rari.

Come mi ha detto Nadia Santini, «Io non sarei innamorata della vita se avessi fatto questa professione per il business. Quello che mi incanta non è più inventare, ma il passaggio di emozioni, consegnare a chi arriva nel nostro paese una storia e un gusto». Poi cita le Bucoliche e le Georgiche (siamo nella patria di Virgilio), «che hanno dato un colore, una musica, un sapore», e racconta di quando arrivano al Pescatore clienti stranieri che si rivelano mantovani expat, e si commuovono riscoprendo nei tortelli di zucca le proprie radici. Quando Nadia Santini dice che fa «una cucina umanistica», sostiene proprio questo. Lei e Giovanni sono alla continua ricerca dei punti di equilibrio tra tradizione e innovazione, con un occhio alla consistenza dietetica dei piatti (Giovanni è laureato in scienze e tecnologie alimentari). Modernizzano ma non inventano il contemporaneo, puntano alla profondità e si assumono anche un compito filologico, quello di ravvivare la grande cucina del passato, prima che tutti dimentichiamo cosa c'è alle spalle delle variazioni sul pesce crudo, del pane al seitan, degli hamburger gourmet, della fusion e della confusion di stili, sapori e tecniche.

Commenta la notizia

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi