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Questo articolo è stato pubblicato il 20 dicembre 2013 alle ore 07:03.

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A pensarci bene, in ogni caso, se ci fosse l'ombra di una casta, non mi sarei proprio trovata all'Antoniano. Il concorso per autori dello Zecchino non si può forzare da nessuna parte. Non c'è esperienza sanremese che tenga, curricula pregressi, o pass amichevoli per entrare nelle dodici prescelte. Entro la fine di marzo di ogni anno, si devono far pervenire dei dischi anonimi con un pezzo accompagnato da sola chitarra e voce infantile non campionata. Quest'anno, i pezzi arrivati erano 288. Poi, si deve solo sperare che entro la fine di aprile il display del cellulare si accenda col prefisso 051. In genere, i cosiddetti "veterani" mandano anche 6 o 7 canzoni, comprese quelle escluse dalle selezioni precedenti (una curiosità: Le tagliatelle di nonna Pina ha passato le selezioni dopo quattro anni di rinvii. Un equivalente musicale di Antonio Pennacchi). Lo stile dei veterani Grottoli e Vaschetti (per intenderci, quelli del Katalicammello: se non sapete qual è, beati voi, ma anche: dove vivete?) è altamente riconoscibile. Il groove delle loro canzoni sembra fatto per solcare gradualmente il cervello della giuria, di modo che, avanzando verso sabato, il bambino si trovi completamente stregato dalla ripetizione ritmica del verso del tale animale. Non sto dicendo che questo potere sia un trucchetto, né che non sia un'arte, dato che io stessa mi sono sempre arresa volentieri anche da adulta alle lusinghe di guaiti, abbai, miagolii e squittii zecchiniani. E poi, quando nell'orizzonte sfocato si profilano quei "soldini", quei "bei soldi" e "quelle quattro lire", vendere il favore della critica di Alias del Manifesto per un ritornello dance di un ippopotamo che fa i gargarismi è un attimo.Se si sta pianificando un successo allo Zecchino, anziché cercare l'ispirazione per una ninnananna guatemalteca, bisogna considerare anche l'elemento casting. Infatti, il reiterato «non cerchiamo bambini bravissimi» non significa soltanto «non è un talent», ma anche «un bambino con serio bisogno di logopedista può conquistare più facilmente il cuore di una piccola giurata». Pertanto, un pezzo sulla caduta dei denti o su due goccioline d'acqua (presumibilmente, due gemelle) punta tutto sulla tensione – passatemi la parola – erotica dei giurati, che però a volte possono anche boicottare i solisti troppo belli e popolari, per gelosia.

In ogni caso, sentirsi in mano agli umori dei bambini è una cosa che dà l'ebbrezza di una roulette russa. È un po' come vivere una settimana nel Signore delle mosche. Un fluido alternarsi di gioia e terrore. Tra gli altri effetti collaterali del festival, c'è un peculiare lapsus per cui per una settimana sostituisci metà delle parole che dici con "zecchino" («dai beviamoci uno zecchino», «andiamo a prendere gli zecchini a scuola», ecc).
Il regolamento sembra fatto per eccitare un gambler. In pratica, le votazioni delle giornate di mercoledì, giovedì e venerdì si sommano per assegnare lo zecchino d'argento (quello che secondo i veterani bla bla ha il più grande valore autoriale perché conferma un successo di pubblico più vasto, bla bla sticazzi, intanto l'oro te lo frego io l'ultimo giorno). Il sabato, il punteggio viene azzerato, gli adulti in grado di capire i testi raffinati e ironici vengono cacciati dalla giuria, e un mucchio di bimbi mai visti – e potenzialmente arrabbiati col tuo solista perché gli ha soffiato la fidanzatina – rivota le canzoni da zero.

La prima serata, quella di martedì, è solo un amichevole warming-up, un ascolto senza voto delle canzoni arrangiate che ti fa pensare «ma sì, che carino essere qua» oppure «una volta nella vita si deve provare tutto: anche lo Zecchino d'Oro». La seconda sera, la nostra canzone totalizza 198 punti su 200. Le altre si aggirano tra i 170 e i 185. In pratica, significa che sul nostro pezzo, 18 giurati (tra adulti e bambini) hanno alzato la paletta col 10, e due quella col 9. A quel punto, la simpatica occasione per fare delle mangiate di tortellini si trasforma istantaneamente nella competizione più spietata della nostra vita. E se non vinciamo il primo premio, possiamo almeno puntare sui diritti per l'acquisto del pezzo su iTunes? È in quel momento che mi pento amaramente di aver partecipato in gioventù al convegno di Wu Ming sul copy-left, per giunta senza trattenere mezza informazione utile. L'ultimo scalino del delirio è puntare alla menzione del premio social: e qui, giù a invitare migliaia di Facebook friends mai visti a elemosinarci dei like. La sorpresa è che questi sconosciuti gradiscono; gradiscono a palate. Se misurassimo la vita in like, e la misuriamo, la scoperta del giorno sarebbe questa: se pubblicare un libro da comune mortale ti dà diciamo n like su Facebook, e sfornare un figlio ti dà 4n like su Facebook, ho scoperto che partecipare allo Zecchino d'Oro ti dà 10n like, e vincerlo 20n like. Lo so perché, alla fine, nonostante tutte le macumbe di animali bizzarri e cibi appetitosi, la nostra ballata rinascimentale su Leonardo da Vinci ha inspiegabilmente sbancato, anche al lotto della finale del sabato. Sì, ho vinto lo Zecchino d'Oro.

La statistica approssimativa dei like spiega bene la trasversalità dello Zecchino. Si può dire che partecipare allo Zecchino è un po' come scrivere un libro moltiplicato per avere un figlio, e condividerlo ufficialmente timidamente, ma segretamente sfacciatamente, con tutti i tuoi compagni delle medie, le vecchie zie e i giovani scrittori incontrati a convegni letterari. A differenza del «pubblicare un libro», però, gli aspiranti scrittori mitomani non ti pugnaleranno alle spalle. A differenza dell'«avere un figlio», le tue amiche single non ti negheranno un like, né verranno a farti le pulci-Barilla del perché «sul logo dello Zecchino hanno disegnato una famiglia canterina anziché una coppia gay canterina». E a differenza del «vincere lo Strega», nessun vecchio amico pizzaiolo ti dirà: il liquore? Lo Zecchino è storia. Lo Zecchino è istituzione. Lo Zecchino è nazional-popolare. Lo Zecchino in Italia è uno dei pochi argomenti che può essere affrontato senza tener minimamente conto dell'orizzonte culturale dell'interlocutore. Non devi pensare «ho di fronte un giovane scrittore» e dire «sai sto leggendo quel libello Laterza Contromano ispirato al tal blog…», o «ho di fronte la bidella» e scandire «ha visto come sono aumentati i broccoli al mercato di viale Papiniano?». Puoi dirlo a tutti, persino al tuo vicino di due anni: «Ho vinto lo Zecchino d'Oro». E la reazione di tutti, da Fabio Fazio che ne ha parlato a Che tempo che fa, al fruttivendolo, all'amica punkabbestia, è: condivisione, bellissimo, complimenti, bella canzone, brava, l'ho sempre guardato, me lo ricordo, che storia. Molti dicono: c'è ancora Topo Gigio? Tu rispondi: no, ora c'è Lallo il cavallo. Grandi risate, euforia, stupore, non ho mai conosciuto qualcuno che ha vinto lo Zecchino, e posso toccare il premio?

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