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Questo articolo è stato pubblicato il 26 marzo 2014 alle ore 07:59.

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Sono trascorsi cinquant'anni dalla fondazione dei Velvet Underground. Nel 1964 John Cale prese in affitto un appartamento nel Lower East Side di Manhattan. Dalle finestre si sentivano i bambini di una scuola cantare il doo-wop. All'epoca John Cale cercava di mettere assieme «Erik Satie, John Cage, Phil Spector, Hank Williams e Bob Dylan». Il risultato fu «una nuova forma di rock», ha scritto Cale sul Wall Street Journal. Poi Lou Reed andò a trovare Cale in quell'appartamento. Cominciarono a suonare assieme. Dapprima pensarono di chiamarsi Warlocks, poi Falling Spikes, infine trovarono un libro per strada e decisero di rubarne il titolo: The Velvet Underground. Il primo disco (quello con la banana in copertina e il branding di Andy Warhol, uscito nel 1967) secondo una famosa battuta (attribuita a Brian Eno) vendette appena 30mila copie in cinque anni, «ma tutti quelli che ne hanno acquistato una hanno fondato una band». Seguirono altri tre album. L'ultimo, Loaded, uscì nel 1970. I VU sono stati una band che per cinquant'anni non ha mai smesso di vendere. Soprattutto a partire dalla ristampa del catalogo su cd per PolyGram, nel 1984. Un ciclo economico lunghissimo.

Due domeniche prima del 27 ottobre 2013 (la domenica in cui è scomparso Lou Reed), avevo fatto un sogno. Nel sogno avevo visto una lunga e magica tubatura collegare il conto corrente dei VU con la cassa di un bar di New York. Dal conto corrente le royalties di Sunday Morning cadevano attraverso il tubo dentro la cassa del bar. A quel punto il titolare decideva che ogni domenica mattina avrebbe offerto la colazione ai propri clienti. Quando mi sono svegliato, ho pensato di chiedere ad altre persone d'immaginare come avrebbero reinvestito le royalties di un brano dei VU, o di Lou Reed, se ne fossero stati i titolari. Ecco che cosa mi hanno risposto.

CON I SOLDI DI I'M WAITING
FOR THE MAN CI FAREI...
Marco Rossari Scrittore e traduttore
«È la canzone che, nel disco d'esordio dei Velvet Underground, precede con qualche brano d'anticipo il momento cupamente lirico di Heroin. Dopo l'artefatta dolcezza di Sunday Morning, il discorso si fa pratico. Ecco una specie di manuale user friendly, "Come e dove trovare una dose". Eroina for dummies. La smania, il giro nei bassifondi, il ritardo cronico del pusher. La canzone segue un giro facile, in sostanza un paio d'accordi: Mi, La, più Sol# e Fa# per non farsi mancare nulla. Lou Reed sosteneva che nella sua apparente facilità il primo cambio d'accordo fosse invece determinante. Tutti sanno passare da Mi a La, ma pochi sanno farlo nel modo giusto. Semplice, sublime. Ecco, i proventi di questa canzone dovrebbero aiutare i critici dei quotidiani italiani che alla morte di Lou Reed hanno scritto una caterva di stronzate: con quei soldi, li manderemo in un rehab musicale a praticare giorno e notte quel passaggio da Mi a La, da Mi a La, da Mi a La. Avanti Mario Luzzatto Fegiz, continua da solo… Twenty-six dollars in my haaaaand».

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