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Questo articolo è stato pubblicato il 14 giugno 2014 alle ore 10:13.

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La catena di abbigliamento e accessori Muji è diffusa in una ventina di Paesi al mondo, oltre al Giappone dove è nata. La sua filosofia è quella del good enough: oggetti che non ambiscono all'eccellenza, hanno costo e qualità medi, sono lontani dalle forme della moda, cercano di imporre una propria linea fatta di semplicità, colori tenui, uno stile talmente sobrio da evitare anche le raffinatezze del minimalismo. Quello che è successo alla riproduzione della musica negli ultimi quindici anni ha a che fare con una impostazione simile, anche se la linea è stata stabilita dalla tecnica prima che dal marketing.

Quando si cominciò a scambiare la musica in rete, prima illegalmente da Napster in poi, poi con profitti tutti da verificare da iTunes a Spotify, si optò per la riduzione della qualità dell'oggetto, ma per motivi tecnici: le connessioni del momento imponevano di trasformare i 700 MB circa di un cd in pacchetti molto più piccoli da trasferire in tempi ragionevoli. Il protocollo di compressione mp3, capace di alleggerire il segnale audio digitale delle componenti non essenziali, divenne il nuovo standard: la musica non era quella analogica del nastro o del vinile, non era nemmeno quella del cd, ma quella compressa dell'mp3, pesante un decimo, buona quanto basta, perfetta per le cassettine del computer o per piccoli auricolari economici collegati ai riproduttori portatili.

In questi ultimi anni, mentre l'Adsl e la fibra si diffondevano, la gente ha cominciato a scambiarsi film interi, che al massimo della compressione potevano pesare come un cd nella sua versione originale, cioè circa 700 MB. Ma allora, se uno può spostare agevolmente un carico di quelle dimensioni, perché le scatole per la musica sono rimaste quelle minuscole di dieci anni prima? Perché nessuno ha pensato di tornare almeno allo standard precedente, se non adottarne uno migliore? Perché i motivi tecnici sono diventati costume e cultura, e per cambiare le cose ci volevano nuovi costumi, una nuova cultura e Neil Young.

Neil Young è stato uno dei colossi della musica degli anni Settanta, ed è da sempre l'unico musicista rocker audiofilo. Ora, l'audiofilia, che è una nevrosi grave di cui soffro anche io, spesso si accompagna a un disinteresse quasi totale per la passione musicale, idolatra pochi classici e molte musichine insignificanti, persegue il costo e la forma degli apparecchi, la fedeltà del suono: come se il rock&roll si fosse mai preoccupato molto di fedeltà, chiarezza e altre sciocchezze marginali. Eppure, negli anni in cui Young vendeva milioni di copie, nelle case della gente c'erano gli impianti stereo, e ascoltare la musica bene e con gusto era uno status symbol. Le pubblicità dell'hi-fi anni Sessanta e Settanta mostrano abitazioni da ricchi, con arredamento "moderno", magnetofoni, amplificatori e casse inseriti in ambiente, e una modella felice seduta sulla moquette a piedi scalzi che armeggia con i vinili.

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