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Questo articolo è stato pubblicato il 11 maggio 2010 alle ore 08:08.
Massimiliano Del Barba
BRESCIA
C'è una sola via per uscire dalla crisi, ed è quella di fare innovazione. Ma per finanziare e sostenere l'innovazione, un tessuto produttivo frammentato e impostato sulla piccola dimensione come quello italiano ha una sola scelta, ed è quella di dare vita il più rapidamente possibile a un sistema di reti d'impresa capace di raggiungere la massa critica necessaria a riposizionare il made in Italy verso i mercati emergenti.
Aldo Bonomi, vicepresidente per le Politiche territoriali e i Distretti industriali di Confindustria, ospite ieri della quarta Giornata dell'innovazione organizzata dall'Associazione degli industriali bresciana, commenta i dati Istat sulla produzione di marzo tornando sul tema delle aggregazioni e promuovendo l'impegno dimostrato fino a oggi dal governo nella costruzione del quadro legislativo necessario alla nascita dei contratti di rete: «Stiamo osservando una ripresa timida e a macchia di leopardo - ha spiegato -, segnata dal fatto che molte piccole e medie aziende presentano ancora enormi difficoltà nel rintracciare le risorse necessarie a un loro riposizionamento. È necessario che esse imparino a parlarsi, ad agire insieme, sfruttando le possibilità date dal decreto incentivi, che ha introdotto la disciplina sulle reti di impresa e dal decreto sviluppo, il quale ha meglio precisato alcune caratteristiche che il contratto di rete deve avere, come ad esempio la definizione degli obiettivi strategici e delle attività comuni poste alla base della rete».
Provvedimenti che anche per il presidente degli industriali bresciani, Giancarlo Dallera, «muovono nella giusta direzione, anche se - ha aggiunto - il successo delle reti d'impresa ora dipenderà dalla capacità del pubblico di delineare politiche economiche che al centro abbiano l'innovazione». Semplicità normativa, una governance trasparente e flessibile, autonomia e indipendenza di ogni singola impresa: il modello della rete, a differenza dei vecchi distretti e delle aggregazioni, sembra piacere agli imprenditori bresciani, soprattutto per la possibilità di creare un fondo patrimoniale comune fra affiliati e di accedere a una serie di agevolazioni, che spaziano dai vantaggi contributivi alla maggior facilità di intercettare i finanziamenti europei su Ricerca e Sviluppo. «Un percorso obbligato e in un certo senso intrapreso spontaneamente qualche anno fa dai soggetti imprenditoriali più avveduti - secondo Fulvio D'Alvia, dell'area Politiche industriali, economia della conoscenza, Europa e internazionalizzazione di Confindustria -. Si tratta di meccanismi già in atto, che stanno avvicinando le imprese e che un ibrido come il contratto di rete, sostanzialmente un'aggregazione di natura privatistica e su base non territoriale, non può che agevolare». E se a Brescia, esperimenti come i consorzi Itg (automazione) e Ruvaris (rubinetteria) nonché il distretto del biomedicale possono essere considerati reti d'impresa ante litteram, il primo contratto di rete in senso stretto è invece emiliano. Si tratta della RaceBo, una rete di undici aziende della filiera Ducati forte di 600 dipendenti, di 90 milioni di euro di fatturato e, soprattutto, di un patrimonio in cui ogni impresa fa gioco di squadra ma conserva il suo volto.