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Europa divisa sui limiti CO2

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Questo articolo è stato pubblicato il 25 maggio 2010 alle ore 08:06.

Con ogni probabilità la mina-CO2 è stata disinnescata in Europa. Oggi si incontreranno a Bruxelles i capi di gabinetto delle direzioni generali e domani i commissari Ue per esaminare il documento della Commissione sul progetto di rendere ancora più severo l'obiettivo di ridurre le emissioni di anidride carbonica.
Nei giorni scorsi la commissaria europea al clima, l'ex ministro danese Connie Hedegaard, aveva proposto di approfittare della riduzione delle emissioni di anidride carbonica indotta dalla crisi economica di questi anni per rafforzare il taglio Ue. L'obiettivo ufficiale è arrivare al 2020 con una già severissima sforbiciata del 20%.

Hedegaard propone di correggere l'obiettivo e di tagliare del 30%. Subito i principali paesi europei hanno fatto quadrato: insieme con l'Italia (il vicepresidente della commissione, Antonio Tajani) e con la Germania (Günther Öttinger, energia), contro la proposta della commissaria danese si sono orientati il vicepresidente slovacco della commissione Maroš Šefcovic e i commissari Janusz Lewandowski (polacco, bilancio), John Dalli (maltese, consumatori) e sarebbe vicino a questa posizione anche il francese Michel Barnier (mercato interno).

Hedegaard aveva messo a punto una bozza di documento, quella che viene definita "comunicazione", nel quale proponeva il taglio severo delle emissioni di anidride carbonica e aveva escluso il ricorso a strumenti semplici come forme di ecotassa. Il documento nella formulazione originaria esamina costi e benefici dell'aumento del taglio delle emissioni al 30% e le opzioni pratiche per attuarlo». In sostanza, la commissaria afferma che l'obiettivo concordato due anni fa ormai «non è più sufficiente» rispetto alla dilagante concorrenza delle economie di Usa, Cina, Corea del Sud, solo per citare i principali investitori nella cosiddetta «rivoluzione verde». E se l'Europa vuole continuare a essere competitiva quindi deve rialzare la posta, indipendentemente dai negoziati internazionali in corso. Hedegaard ha però spiegato che nessuna decisione verrà presa a breve: il documento è un contributo, un punto di partenza di un «dibattito complicato».

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Tags Correlati: Alleanza | Cina | Confindustria | Connie Hedegaard | Direzione Generale | Emma Marcegaglia | Germania | Günther Öttinger | Inquinamento | Italia | Janusz Lewandowski | John Dalli | José Manuel Barroso | Maro | Michel Barnier | Unione Europea

 

Gli altri commissari hanno cominciato a proporre al documento sul clima una serie di emendamenti che di fatto l'hanno ammorbidito, se non neutralizzato. Tajani, per esempio, ricorda il fatto che non ha senso una decisione unilaterale dell'Unione europea. Una misura così severa deve far parte di un piano condiviso, di una strategia che veda coinvolti paesi a forti emissioni e a forte crescita di consumi come la Cina o l'India. Il documento che emergerà domani dalla proposta di Hedegaard così sarà aggiornato secondo le richieste della commissione e potrebbe essere discusso al summit dei capi di stato e di governo Ue il 17 giugno.

La proposta iniziale della commissaria Hedegaard è stata contestata dagli industriali dell'Ue, inclusa la Confindustria. La presidente Emma Marcegaglia aveva scritto una lettera al presidente della commissione europea, José Manuel Barroso. Inoltre, secondo l'Alleanza europea delle industrie più energivore, quelle siderurgiche (Eurofer), una decisione di questo tipo provocherebbe una perdita di posti di lavoro.

Nella lettera a Barroso, Marcegaglia ricordava che già l'obiettivo di ridurre del 20% le emissioni è una sfida difficile per l'Italia, paese la cui migliore efficienza energetica rende più costoso l'impegno. Si stima che tale costo potrà incidere per circa l'1,14% del pil, contro una media europea di 0,6 per cento.

Aggiunge Corrado Clini, direttore al ministero dell'Ambiente e presidente del comitato interministeriale di gestione delle quote di emissione, che la proposta di Connie Hedegaard «si basa sulla riduzione delle emissioni dovuta alla crisi: è un vecchio modello recessivo, ormai superato, che non fa leva invece sulla riqualificazione del sistema energetico e ambientale».
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