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Economia Aziende

Indesit al riassetto in Italia

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Questo articolo è stato pubblicato il 10 giugno 2010 alle ore 08:05.


MILANO
La chiusura di due stabilimenti, in cui oggi lavorano cinquecento persone. E investimenti, in innovazione di prodotto e di processo, per 120 milioni di euro nei prossimi tre anni.
Il consiglio di amministrazione di Indesit Company ha varato il piano di ristrutturazione («consolidamento» nella nota ufficiale) in Italia. Gli stabilimenti che saranno chiusi si trovano a Brembate, in provincia di Bergamo (produzioni di lavabiancheria a carica dall'alto), e a Refrontolo, in provincia di Treviso (apparecchiature speciali di cottura). Immediati gli scioperi.
Le attività dismesse saranno accorpate nei poli industriali di Indesit Company al centro-sud d'Italia, in particolare a Fabriano e a Caserta, scelta che l'azienda avrebbe privilegiato rispetto all'ipotesi, vagliata, di sfruttare maggiormente gli otto impianti produttivi già esistenti all'estero.
A fronte di queste dismissioni e di un giro d'affari che l'anno scorso è stato pari a 2,6 miliardi di euro, fra il 2010 e il 2012 sono in programma investimenti per 120 milioni di euro: in media 40 milioni all'anno. Tutto questo capita in un frangente molto critico per Indesit: il livello dell'attività degli stabilimenti italiani è sotto del 30% rispetto al pieno utilizzo e, nel 2009, in media ogni fabbrica ha avuto sessanta giorni di cig.
Il gruppo di Fabriano avvierà nei prossimi giorni il confronto con i sindacati con l'obiettivo di chiuderlo per l'inizio del quarto trimestre 2010.
Il consiglio di amministrazione ha affidato al management il mandato di aprire una discussione con le parti sociali «finalizzata al raggiungimento di intese che rendano possibile l'esecuzione del piano di investimenti in un contesto di competitività sostenibile, in linea con i presupposti del progetto». Il piano per consolidare la produzione degli stabilimenti italiani, approvato ieri dal consiglio di amministrazione, «prevede - spiega l'azienda - il rilancio della competitività degli stabilimenti italiani attraverso iniziative, tra le quali l'accorpamento negli impianti del centro-sud Italia di alcune produzioni, mirate a rendere sostenibile l'assetto industriale».

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Tags Correlati: Agnolazza | Bergamo | Cisl | Fiom Cgil | Giuseppe Ciarrocchi | Gran Bretagna | Indesit | Luca Zaia | Marche | Ristrutturazioni d'imprese | Treviso | Vittorio Merloni

 

«Se questo è il nuovo corso, il frutto del ricambio generazionale, è inaccettabile nel metodo e nel merito: non si può decidere di chiudere due stabilimenti senza neppure informare prima le organizzazioni sindacali», dice il segretario regionale della Fiom Cgil delle Marche Giuseppe Ciarrocchi riferendosi al passaggio di consegne alla presidenza avvenuto ad aprile fra Vittorio Merloni e il figlio Andrea. «Siamo molto preoccupati - aggiunge Agnolazza, della Fim-Cisl di Treviso -. Non sappiamo ancora nulla di certo, ma ci auguriamo di riuscire a frenare le decisioni dell'azienda». Giovedì 17 giugno, intanto, si terrà un incontro ad Ancona, presso la sede centrale di Indesit, nel corso del quale il sindacato spera di avere maggiori dettagli. «Prima di muoverci - aggiunge Agnolazza - attendiamo di conoscere i dettagli sul piano aziendale e sulle possibili chiusure che ci sono state prospettate. Nel corso dell'incontro del 17 ci verrà presentato il progetto e a quel punto, se non ci saranno spazi di manovra, apriremo una vertenza». Dunque da parte sindacale non c'è un particolare favore per la prospettiva di una tecnica di ricollocazione che, pur in altro contesto, ha consentito alla Indesit, quando ha chiuso le aziende in Gran Bretagna, di favorire la ricollocazione in altro posto di lavoro dei lavoratori: sei mesi dopo le dismissioni degli stabilimenti di Blythe Bridge (nel 2007) e Peterborough (nel 2008) l'azienda era riuscita a ricollocare il 90% dei dipendenti. A sei mesi dalla serrata di Kinmel Park (2009) ne erano stati ricollocati l'80%. Anche la politica scende in campo: il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, sostiene che «chiudere al nord sarebbe un passo falso per l'azienda».
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