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Questo articolo è stato pubblicato il 11 giugno 2010 alle ore 17:53.

A quanto sembra, i falchi del disavanzo hanno preso il controllo del G20. Il comunicato rilasciato dopo l'incontro dei ministri dell'economia a inizio giugno prende le distanze dalla posizione pro-stimoli prevalente nelle riunioni del G20 dei mesi precedenti. «I paesi con forti problemi di bilancio devono accelerare il ritmo del consolidamento», recita la dichiarazione. «Accogliamo con piacere la volontà, annunciata recentemente da alcuni paesi, di ridurre il deficit nel 2010 e rafforzare la situazione del bilancio e degli istituti di credito».


È una drastica inversione di rotta rispetto al comunicato precedente, rilasciato a fine aprile, che, fra le altre cose, faceva appello a «persistere [nelle politiche di stimolo] fino a quando il settore privato non sia saldamente nelle condizioni di trainare la ripresa».
Operare drastici tagli alla spesa pubblica nel corso di una grave depressione economica è un metodo costoso e inefficace per ridurre il debito dello Stato. Le misure di austerità sono costose perché deprimono ulteriormente l'economia, e sono inefficaci perché la contrazione della spesa pubblica frena il gettito.

È chiaro che la cosa giusta da fare è aspettare: l'economia dev'essere forte abbastanza da consentire alle Banche centrali di usare la politica monetaria per compensare le contrazioni dell'attività economica innescate dall'austerità di bilancio. Ma no: i falchi del deficit esigono tagli in un momento in cui il tasso di disoccupazione nella zona euro rimane su livelli preoccupantemente alti e in molte nazioni i tassi d'interesse sono prossimi allo zero.

Qualcuno potrebbe dire che la situazione della Grecia rappresenta un monito contro la crescita sfrenata del debito, ma è un paragone che non calza a pennello. I paesi che in questo momento hanno un problema di debito pubblico, come la Grecia e la Spagna, si trovano in una situazione molto specifica: fanno parte dell'euro e al contempo si ritrovano con asset fortemente sopravvalutati a causa degli enormi afflussi di capitale avvenuti nel corso dei boom precedenti. Il risultato di questa combinazione è la prospettiva di anni di deflazione. I paesi che non si trovano in questa situazione esplosiva non hanno ragione di procedere a tagli della spesa nell'immediato: al 7 giugno, i titoli di stato decennali in Gran Bretagna fruttavano un interesse del 3,51 per cento, negli Stati Uniti del 3,21 per cento e in Giappone dell'1,27 per cento.

Ma allora da dove nasce la domanda di un'austerità immediata? La risposta è che i ministri dell'Economia e i governatori delle banche centrali del G20 sono convinti che tagliando la spesa si potranno rassicurare gli investitori (si presuppone che gli investitori dubitino che i governi mondiali introdurranno spontaneamente riforme di bilancio a lungo termine). Tutta la tesi poggia sul presupposto che i mercati mondiali si troveranno in difficoltà se le principali economie non si mostreranno pronte a sacrifici. Il fatto che questi sacrifici possano o meno servire a qualcosa (o se esista qualche prova che i mercati reagirebbero sfavorevolmente a un'assenza di sacrifici), sembra che non conti nulla.

Riepiloghiamo: una politica accorta, secondo le raccomandazioni del G20 e di altre organizzazioni che la pensano allo stesso modo, consiste nel distruggere la ripresa economica per soddisfare ipotetiche richieste degli investitori, richieste che in realtà gli investitori non avanzano. Complimenti.

(Traduzione di Fabio Galimberti)
© 2010 New York Times

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