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Questo articolo è stato pubblicato il 16 giugno 2010 alle ore 08:23.
Sottoscritta da oltre 100 membri della comunità accademica e degli enti di ricerca, la Lettera degli economisti è un documento fortemente critico verso le politiche restrittive attuate in questi giorni dai governi italiano ed europei. Nella Lettera si legge che tali politiche aggraveranno la crisi, favoriranno gli attacchi speculativi e potrebbero addirittura condurre alla deflagrazione della zona euro. L'iniziativa è stata presentata ieri in conferenza stampa dai promotori Emiliano Brancaccio, Riccardo Realfonzo e Antonella Stirati. La Lettera è stata firmata da illustri esponenti della comunità scientifica, tra i quali Roberto Artoni, Paolo Bosi, Lilia Costabile, Marcello De Cecco, Pierangelo Garegnani, Augusto Graziani, Paolo Leon, Giorgio Lunghini, Ugo Pagano, Alessandro Vercelli ed altri. Il testo e i firmatari sono riportati sul sito: www.letteradeglieconomisti.it. Per informazioni o adesioni si può scrivere a info@letteradeglieconomisti.it.
Il governo dichiara che i cosiddetti "sacrifici" si rendono necessari per risanare i conti pubblici, tranquillizzare i mercati e salvaguardare l'euro. Negli ultimi giorni diversi esponenti politici e sindacali si sono accodati a questa tesi. Ma sarà vera? Oltre 100 economisti sostengono di no, e in una Lettera destinata al Parlamento e alle autorità di politica economica denunciano che le politiche restrittive approntate dai governi italiano ed europei rischiano di produrre effetti esattamente opposti a quelli dichiarati.
La Lettera degli economisti mette in luce un paradosso: le politiche economiche europee per la prima volta si muovono in concerto, ma lo fanno nella direzione sbagliata. In perniciosa sincronia i paesi europei realizzano infatti delle tremende strette di bilancio in una fase storica in cui non sembra esservi traccia alcuna di locomotive esterne all'Unione monetaria. Certo, un rilancio della crescita fondato su un nuovo boom speculativo della finanza statunitense non può escludersi del tutto, ma si tratterebbe di una ripresa fragile e di corto respiro. In questo scenario è dunque probabile che le restrizioni operate dai governi europei determineranno una ulteriore caduta dell'occupazione, un aumento della mortalità delle imprese e quindi un nuovo capitombolo dei redditi, delle entrate fiscali e dei ricavi imprenditoriali. Di conseguenza, le possibilità di rimborso dei debiti, sia pubblici che privati, tenderanno a ridursi. Gli operatori sui mercati finanziari intensificheranno quindi le vendite di titoli, i tassi d'interesse cresceranno e la situazione dell'economia reale si aggraverà ulteriormente. La crisi naturalmente colpirà in modi diversi le strutture produttive dei vari paesi. Le imprese più forti reggeranno l'urto, si libereranno di numerosi concorrenti e potranno effettuare diverse acquisizioni. Qualcuno magari potrà anche trarre vantaggio dal tentativo dei governi di far cassa tramite nuove privatizzazioni. Non tutti però se la vedranno così bene. Soprattutto nelle aree periferiche dell'Unione la disoccupazione e le bancarotte potrebbero crescere ai ritmi tipici di una deflazione da debiti. Di questo passo, alcuni paesi in difficoltà potrebbero a un certo punto esser sospinti al di fuori della zona euro, o potrebbero scegliere deliberatamente di abbandonare la moneta unica per cercare di sottrarsi alla spirale recessiva nella quale l'Europa si è infilata. Al limite potrebbero anche introdurre misure di protezione dei mercati interni. Lo sganciamento dall'euro implicherebbe pure una svalutazione in termini di valuta estera dei titoli privati e pubblici dei paesi fuoriusciti. La sola eventualità che ciò possa verificarsi rappresenta la molla principale della speculazione, molto più che gli andamenti dei meri rapporti tra debito pubblico e Pil. Dunque, benché vengano presentate come manovre per la salvaguardia dell'unità europea, le politiche restrittive potrebbero in realtà condurre a una vera e propria deflagrazione della zona euro.