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Economia Gli economisti

Come si crea la prossima crisi

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Questo articolo è stato pubblicato il 17 giugno 2010 alle ore 17:37.

WASHINGTON, DC – Gli esperti di settore sono molto divisi su come si prospettano per l'economia globale i prossimi dodici mesi. Coloro che si concentrano sui mercati emergenti danno grande importanza alla crescita in costante accelerazione, e mettono in risalto le previsioni di aumento della produzione mondiale nell'ordine del 5 per cento. Coloro che invece sono preoccupati per i problemi di Europa e Stati Uniti continuano ad essere pessimisti, prevedono una crescita più vicina al 4 per cento e in alcuni casi arrivano a ipotizzare una possibile ricaduta nella recessione, la tanto temuta "double dip".

Il dibattito è sicuramente interessante, ma occorre tener d'occhio il quadro generale. Per reagire alla crisi del 2007-2009, i governi dei Paesi maggiormente industrializzati hanno autorizzato i più generosi salvataggi che si siano mai visti, perfino per i grossi istituti finanziari. Naturalmente, non sarebbe politicamente corretto definirli salvataggi in extremis: in gergo per le autorità preposte è preferibile chiamarli "sostegno alla liquidità" o "protezione sistemica". In pratica, però, si tratta della stessa cosa: una volta messa sul tavolo le 'chips', i governi più potenti del mondo (quanto meno sulla carta) hanno rimandato più e più volte la risposta alle necessità e alle aspirazioni di quanti avevano prestato soldi alle grandi banche.

In ogni caso, la logica seguita è stata sempre impeccabile. Per esempio, se nel 2008 (sotto la presidenza di George W. Bush) gli Stati Uniti non avessero fornito un sostegno incondizionato a Citigroup una prima volta, poi concesso nuovamente nel 2009 (sotto la presidenza di Barack Obama), il crollo finanziario che si sarebbe prodotto avrebbe aggravato di molto la recessione globale e di conseguenza anche la perdita di posti di lavoro in tutto il mondo sarebbe stata peggiore. Analogamente, se negli ultimi mesi la zona euro non si fosse adoperata – con l'aiuto del Fondo Monetario Internazionale – per tutelare la Grecia e i suoi creditori, in Europa e forse ben oltre i suoi stessi confini avremmo dovuto affrontare un'ulteriore situazione di difficoltà finanziaria.

In realtà, tra i governi e i principali istituti finanziari di Stati Uniti ed Europa Occidentale si è giocato spesso al "gioco del coniglio". I governi dicevano: «Basta con i salvataggi in extremis». E le banche dichiaravano: «Se non ci salvate, è molto verosimile che si palesi una seconda Grande Depressione». I governi riflettevano rapidamente su tale prospettiva e poi, senza eccezione alcuna, ammiccavano.

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Tags Correlati: Amministrazione Obama | Anna Bissanti | Barack Obama | Bce | Democrazia Cristiana | Europa Occidentale | Fmi | George W. Bush | Grecia | Ministero del Tesoro | Ordinativi | Sherrod Brown | Stati Uniti d'America | Ted Kaufman | Tgpf

 

I creditori sono stati protetti e le perdite del settore finanziario sono state appioppate alle finanze pubbliche (come in Irlanda) o alla Banca centrale europea (come in Grecia). Altrove (negli Stati Uniti), le perdite sono state coperte da abbondanti dosi di "indulgenza assoluta" (vale a dire accettando di voltare lo sguardo di proposito, mentre le banche ricostruivano il loro capitale scambiando titoli).

Tutto ciò ha funzionato, nel senso che oggi stiamo vivendo una ripresa economica, quantunque si tratti di una ripresa insoddisfacente, che ha implicazioni lente sull'occupazione negli Stati Uniti e in alcuni Paesi europei. Ma allora: dov'è il problema? Cosa c'è che non va nelle politiche messe in atto nel 2007-2009? Perché non possiamo limitarci a ripetere le stesse cose o qualcosa di simile, qualora in futuro dovessimo mai affrontare di nuovo una crisi di questa natura?

Il problema sono gli incentivi, ciò che i salvataggi in extremis implicano dal punto di vista degli atteggiamenti e dei comportamenti degli addetti ai lavori. La protezione che è stata estesa alle banche e ad altre istituzioni finanziarie dall'estate del 2007, e con più vasta portata ancora a partire dal fallimento di Lehman Brothers e Aig nel settembre 2008, invia un segnale molto semplice: se in rapporto al sistema si è sufficientemente "grandi", si hanno maggiori probabilità di ottenere un generoso aiuto dal governo quando si presenta una situazione di vulnerabilità o di rischio che interessa l'intero sistema.

Resta da vedere e capire quanto "grande" sia questo "abbastanza grande". Pare che i principali hedge fund stiano cercando di diventare più grandi e di acquisire così una "importanza sistemica". Idealmente – dal loro punto di vista – si allargheranno senza attirarsi controlli e indagini minuziose da parte di coloro che devono applicare le normative vigenti, per esempio senza che siano imposti limiti ex ante alle loro attività a rischio. Se tutto andrà come sperato, questi fondi di copertura – e naturalmente le banche che ormai sono indubbiamente Troppo-Grandi-Per-Fallire (Tgpf, corrispondente all'acronimo inglese Tbtf, Too-Big-To-Fail) – avranno sicuramente da guadagnarci un bel po'.

Se invece qualcosa dovesse andare storto, chiunque è Tgpf – nonché chiunque abbia prestato capitali ai Tgpf – si aspetterà di ricevere aiuti dal governo. Queste aspettative fanno abbassare i costi del credito per le odierne megabanche (rispetto alle loro concorrenti, sufficientemente piccole da avere maggiori probabilità di essere abbandonate a un eventuale fallimento). Di conseguenza, tutti gli istituti finanziari hanno un incentivo molto pesante per espandersi sempre più (e prendere in prestito di più), nella speranza di poter diventare sempre più grandi e di conseguenza "più sicuri" (dal punto di vista dei creditori, non certo da un'ottica sociale).

Le massime autorità statunitensi deputate a decidere la linea politica economica ammettono che così come sono strutturati questi incentivi sono un vero problema. È interessante il fatto che molte delle loro controparti europee non siano ancora disposte a discutere di queste faccende apertamente. La Casa Bianca e il Tesoro, invece, non fanno che ripetere di "aver messo la parola fine ai Tgpf" con la riforma del settore finanziario attualmente all'esame del Congresso che verosimilmente sarà firmata da Obama nel giro di un mese.
Purtroppo non è affatto così. Quanto alle dimensioni critiche delle banche eccessivamente grandi e a ciò che esse implicano per il rischio sistemico, si registra lo sforzo concertato dei senatori Ted Kaufman e Sherrod Brown mirante a imporre una soglia limite alle banche più grandi – proposta molto in sintonia con lo spirito dell'originale "Legge Volcker" presentata nel gennaio 2010 dallo stesso Obama.

Con un voltafaccia davvero incredibile, per ragioni che restano avvolte da mistero, l'Amministrazione Obama stessa ha fatto dietrofront. In proposito un funzionario di alto livello del Dipartimento del Tesoro ha spiegato che "se fosse stata applicata, la riforma Brown-Kaufman avrebbe finito con lo smantellare le sei banche americane più grandi". E ha poi concluso: «Se avessimo voluto farlo, probabilmente questo è quanto sarebbe accaduto. Ma poiché non abbiamo voluto che accadesse, non è accaduto».

Che l'economia mondiale viva adesso una crescita del 4 o del 5 per cento è sicuramente importante, ma non influisce più di tanto sulle nostre prospettive a medio termine. Il settore finanziario statunitense ha ricevuto un sostegno salvifico e non soggetto a condizione alcuna, ma adesso non è soggetto ad alcuna forma di ri-regolamentazione significativa. Pertanto, non si discute: ci stiamo preparando a un altro boom che ha i suoi presupposti nell'eccessiva e sconsiderata assunzione di rischio nel cuore stesso del sistema finanziario mondiale. E ciò non può che finire in un modo solo: male.

(Traduzione di Anna Bissanti)
Copyright: Project Syndicate, 2010.

www.project-syndicate.org

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