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Economia Gli economisti

La lettera di Keynes al Times (17 ottobre 1932)

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Questo articolo è stato pubblicato il 06 luglio 2010 alle ore 12:21.

Gentile direttore,
il 10 ottobre avete dato risalto, sulle colonne del vostro giornale, a una lettera che invitava gli economisti a esprimere il loro parere sul problema della spesa privata. Gli economisti sono tanti nel nostro paese e nessuno può pretendere di parlare a nome di tutti loro. Tuttavia, i firmatari di questa lettera ragionano da molti anni sui problemi dell'economia, e riteniamo che pochi dei nostri colleghi sarebbero in disaccordo con quanto ci apprestiamo a dire.

Durante la guerra era un dovere patriottico per il privato cittadino ridurre nel limite della propria possibilità la spesa destinata all'acquisto di beni e servizi di consumo. Certe tipologie di economia privata infatti erano propizie più di altre all'interesse nazionale. Ma in una certa misura tutte le tipologie di economia misero gratuitamente a disposizione dello Stato, direttamente o indirettamente, risorse (manodopera, macchinari, trasporti) per la condotta della guerra. L'economia privata implicava la cessione di tali risorse per uno scopo nazionale di vitale importanza. Al momento attuale, le condizioni sono diversissime. Se una persona con un reddito di 1.000 sterline, che normalmente spenderebbe per intero, decide invece di risparmiarne 500, il lavoro e il capitale che essa libera non vanno a beneficio di un insaziabile apparato bellico. E nulla assicura nemmeno che vengano destinati a investimenti, costruendo capitali nuovi nell'interesse pubblico o privato. In certi casi, naturalmente, ciò avviene.

Un proprietario terriero che spende 500 sterline in meno del consueto in feste e ricevimenti e destina quei soldi alla costruzione di un fienile o di un cottage, o un imprenditore che rinuncia ai lussi per poter installare nuovi macchinari nel suo stabilimento, non sta facendo altro che trasferire risorse produttive da un impiego a un altro. Ma quando un uomo risparmia sui consumi e lascia che il frutto dei propri risparmi si ammassi nei bilanci delle banche, o anche nell'acquisto di titoli esistenti, le risorse reali immesse sul mercato non trovano una nuova destinazione pronta ad accoglierle. Nelle condizioni attuali, la possibilità che tali risorse vengano destinate a investimenti è preclusa dalla mancanza di fiducia. Inoltre, l'economia privata aggrava la situazione, poiché scoraggia ulteriormente tutte quelle forme di investimento – fabbriche, macchinari e così via – il cui scopo ultimo è produrre beni di consumo. Di conseguenza, nelle condizioni attuali, l'economia privata non trasferisce parte di un reddito nazionale invariato dai consumi agli investimenti. Al contrario, riduce il reddito nazionale quasi quanto riduce i consumi. Invece di liberare forza lavoro, macchinari e trasporti per altri impieghi più importanti, li rende inoperosi.

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Il comportamento in campo economico, come in quasi tutti gli altri campi, è governato da un insieme di motivazioni. Alcune persone senza dubbio riducono i consumi perché il proprio reddito è diminuito e non sono più in grado di spendere come prima; altri lo fanno perché prevedono che il proprio reddito diminuirà e hanno timore di spendere. Non sta a noi giudicare che cosa sia nell'interesse privato del singolo individuo e quale importanza egli debba assegnare a tale interesse privato rispetto all'interesse pubblico, quando i due sono in conflitto. Ma una cosa è chiara, a nostro parere. L'interesse pubblico nella situazione attuale non va nel senso dell'economia privata: spendere meno denaro di quello che dovremmo voler spendere non è patriottico.

Inoltre, ciò che vale per gli individui che agiscono singolarmente vale anche per i gruppi di individui che agiscono attraverso le autorità locali. Se i cittadini di un piccolo centro voglio costruire una piscina, o una libreria, o un museo, non andranno nell'interesse più generale della nazione se si asterranno dal farlo. Saranno «martiri per sbaglio» e nel loro martirio arrecheranno danno anche agli altri oltre che a se stessi. Con le loro buone intenzioni mal rivolte spingeranno ancora più in alto l'onda crescente della disoccupazione.
I vostri devotissimi
D. H. MacGregor (professore di economia politica all'Università di Oxford)
A. C. Pigou (professore di economia politica all'Università di Cambridge)
J. M. Keynes
Walter Layton
Arthur Salter
J. C. Stamp
(Traduzione di Fabio Galimberti)

Leggi la lettera di Hayek al Times >>

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