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Questo articolo è stato pubblicato il 06 luglio 2010 alle ore 12:21.
Gentile direttore,
il 10 ottobre avete dato risalto, sulle colonne del vostro giornale, a una lettera che invitava gli economisti a esprimere il loro parere sul problema della spesa privata. Gli economisti sono tanti nel nostro paese e nessuno può pretendere di parlare a nome di tutti loro. Tuttavia, i firmatari di questa lettera ragionano da molti anni sui problemi dell'economia, e riteniamo che pochi dei nostri colleghi sarebbero in disaccordo con quanto ci apprestiamo a dire.
Durante la guerra era un dovere patriottico per il privato cittadino ridurre nel limite della propria possibilità la spesa destinata all'acquisto di beni e servizi di consumo. Certe tipologie di economia privata infatti erano propizie più di altre all'interesse nazionale. Ma in una certa misura tutte le tipologie di economia misero gratuitamente a disposizione dello Stato, direttamente o indirettamente, risorse (manodopera, macchinari, trasporti) per la condotta della guerra. L'economia privata implicava la cessione di tali risorse per uno scopo nazionale di vitale importanza. Al momento attuale, le condizioni sono diversissime. Se una persona con un reddito di 1.000 sterline, che normalmente spenderebbe per intero, decide invece di risparmiarne 500, il lavoro e il capitale che essa libera non vanno a beneficio di un insaziabile apparato bellico. E nulla assicura nemmeno che vengano destinati a investimenti, costruendo capitali nuovi nell'interesse pubblico o privato. In certi casi, naturalmente, ciò avviene.
Un proprietario terriero che spende 500 sterline in meno del consueto in feste e ricevimenti e destina quei soldi alla costruzione di un fienile o di un cottage, o un imprenditore che rinuncia ai lussi per poter installare nuovi macchinari nel suo stabilimento, non sta facendo altro che trasferire risorse produttive da un impiego a un altro. Ma quando un uomo risparmia sui consumi e lascia che il frutto dei propri risparmi si ammassi nei bilanci delle banche, o anche nell'acquisto di titoli esistenti, le risorse reali immesse sul mercato non trovano una nuova destinazione pronta ad accoglierle. Nelle condizioni attuali, la possibilità che tali risorse vengano destinate a investimenti è preclusa dalla mancanza di fiducia. Inoltre, l'economia privata aggrava la situazione, poiché scoraggia ulteriormente tutte quelle forme di investimento – fabbriche, macchinari e così via – il cui scopo ultimo è produrre beni di consumo. Di conseguenza, nelle condizioni attuali, l'economia privata non trasferisce parte di un reddito nazionale invariato dai consumi agli investimenti. Al contrario, riduce il reddito nazionale quasi quanto riduce i consumi. Invece di liberare forza lavoro, macchinari e trasporti per altri impieghi più importanti, li rende inoperosi.