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Questo articolo è stato pubblicato il 10 luglio 2010 alle ore 13:38.
I fautori del risanamento dei bilanci e della contrazione della spesa pubblica sembra che stiano riuscendo a prevalere grazie alla disoccupazione di massa, ai tassi di interesse bassi e alla deflazione incombente. Non è del tutto sorprendente. Orripilante, magari, ma non sorprendente.
Dopo tutto, è naturale pensare che in tempi duri ci vogliono misure dure: in altre parole, che se un'economia è in sofferenza lo Stato deve stringere la cinghia. E ci vorrebbe un chiaro consenso da parte degli economisti per neutralizzare questa tendenza.
Un consenso che manca, in buona parte perché molti economisti ultimamente diffondono credenze infondate, tra cui la supposizione che la spesa pubblica finanziata dal debito pubblico soffochi necessariamente, e in misura equivalente, la spesa privata, perfino in una fase di depressione economica.
Siamo davvero in un nuovo Medioevo. Mentre infuria il dibattito su come disperdere questa nube di problemi economici che incombe su di noi, un tema ricorrente fra gli antikeynesiani è che i keynesiani sono dei primitivi ignoranti, che non sanno nulla della moderna macroeconomia. Prendiamo come esempio l'avventata dichiarazione del The Economist del 1° luglio, quando scrive che il mio keynesianesimo «non tiene in debito conto il legame fra il comportamento delle imprese e il comportamento delle famiglie e le loro aspettative di future politiche tassa-e-spendi».
Parte del problema nasce apparentemente dal fatto che la gente semplicemente non capisce le implicazioni dei tagli alla spesa. Tanto per chiarire, conosco l'importanza delle aspettative di future politiche tassa-e-spendi sufficientemente bene da sapere che sono un'ulteriore ragione per sostenere le misure di stimolo, non il contrario.
Ho già usato questa analogia, ma vale la pena ripeterla: ipotizziamo che il Governo introduca un nuovo programma di spesa del costo di 100 miliardi di dollari l'anno, ogni anno e per sempre. Per finanziare questo programma, ie tasse devono aumentare per il valore attualizzato equivalente, 100 miliardi di dollari. Ora presumiamo che i consumatori decidano di ridurre i consumi ogni anno dello stesso ammontare per compensare questo fardello fiscale: la spesa in tal caso diminuirà di 100 miliardi di dollari l'anno, vanificando qualunque effetto espansivo. Ma supponiamo che l'incremento della spesa pubblica sia temporaneo, che i 100 milioni annui di spesa extra restino in vigore solo per uno o due anni, non per sempre. Questo implica chiaramente tasse più basse, e dunque un calo della spesa per i consumi inferiore ai 100 miliardi di dollari l'anno. Dunque in questo caso il programma di spesa in realtà è espansivo.