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Il Fondo in banca

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Questo articolo è stato pubblicato il 30 luglio 2010 alle ore 09:48.


CHICAGO – Il maggiore incubo finanziario che incombe sull’economia mondiale è l’insolvenza di una grande banca internazionale. Che sia per il default di uno Stato sovrano o per le grosse perdite accumulate in un contesto di regole contabili a maglie larghe, l’insolvenza di una grande banca (specialmente di una banca europea) è un’eventualità tutt’altro che remota. E anche se lo fosse, la crisi finanziaria del 2008 ci ha insegnato che gli eventi rari accadono.

A rendere questa eventualità un incubo, peggiore del tracollo della Lehman Brothers nel 2008, è il fatto che molti Stati hanno già sparato tutte le loro cartucce e si troverebbero nell’impossibilità di intervenire. I Cds sulle banche più importanti dell’Europa meridionale sono scambiati a cifre leggermente inferiori rispetto ai Cds dei rispettivi Governi, e questo è un indizio che il mercato non ritiene che questi ultimi potrebbero aiutarle.

Sfortunatamente, a quasi due anni dal tracollo della Lehman, è stato fatto poco per affrontare questo pericolo. Il Congresso degli Stati Uniti sta per ultimare un progetto di legge che attribuirà a un organismo di nuova creazione l’autorità per liquidare i principali istituti di credito americani. Tuttavia, a causa della complessità delle procedure per avviare questo intervento e della scarsa chiarezza sui fondi a disposizione, il provvedimento adottato non basterà a eliminare i danni collaterali originati dal fallimento di una grossa banca, nemmeno per le banche americane e tanto più per quelle internazionali, la cui liquidazione richiederebbe un coordinamento fra più Stati con vari gradi di solvibilità.

Per ridurre al minimo il rischio di un collasso fuori controllo, è necessario approvare un meccanismo di liquidazione internazionale che abbia autorità sui principali istituti di credito internazionali. L’obbiettivo non sarebbe salvare le banche e i loro creditori, ma ridurre al minimo gli sconvolgimenti che potrebbe provocare un default incontrollato.

Questa istituzione sarebbe una versione internazionale del Chapter 11 (il sistema di amministrazione controllata del diritto fallimentare americano). Ma mentre lo scopo del Chapter 11 è di salvare il valore corrente di un’azienda, lo scopo del meccanismo di liquidazione internazionale dovrebbe essere quello di preservare il valore corrente delle controparti di istituti di credito insolventi.

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Tags Correlati: Einaudi | Fabio Galimberti | Fmi | Fusioni e Acquisizioni | Haiti | Lehman Brothers | Raghuram G. Rajan | Stati Uniti d'America

 

Il primo problema da risolvere per approvare questo meccanismo è stabilire chi debba avere questa autorità. La risposta ovvia è: il Fondo monetario internazionale.

Creato dopo la seconda guerra mondiale per finanziare gli squilibri temporanei dei partecipanti a un sistema di cambi fissi, il Fmi è in cerca di una ragion d’essere da quando quel sistema è morto, nel 1971. Soprattutto, con le sue numerose operazioni di salvataggio di Stati in difficoltà finanziarie, il Fmi ha acquisito esperienza nella ristrutturazione del debito, sviluppando al tempo stesso una reputazione di severità e imparzialità, che in queste situazioni tornerebbe molto utile.

Il Fondo inoltre ha l’enorme vantaggio di essere l’unico depositario di riserve internazionali. In assenza di un’autorità di bilancio internazionale, il Fmi è l’organizzazione che più ci si avvicina.

Quando un grande istituto di credito è insolvente, il Fmi dovrebbe intervenire, garantendo i suoi debiti sul breve termine, ma senza dare nulla agli azionisti e rimborsando i creditori a lungo termine solo dopo che sono stati rimborsati tutti gli altri creditori (incluso lo stesso Fmi). Qualcuno strillerà che una cosa del genere equivale a una nazionalizzazione, ma la procedura fallimentare del Chapter 11 è esattamente questo, una nazionalizzazione.

L’intervento di un’organizzazione internazionale presenta tre vantaggi rispetto a una soluzione nazionale. Il primo è che c’è la certezza che i costi (se le perdite eccederanno il valore combinato del capitale netto e del debito a lungo termine) saranno sostenuti da tutta la comunità internazionale e non solo dal Paese in cui è situata la banca, rendendo credibile l’intervento anche se non è credibile lo Stato in questione.

Il secondo è che sottrarre il potere decisionale al Governo nazionale del Paese dove ha sede una banca insolvente limita i potenziali effetti distorsivi originati dalla capacità dei banchieri uscenti di fare pressioni sulle autorità. Se il Governo greco rilevasse una banca greca vi fidereste che possa dirigerla in modo corretto e trasparente? Meglio il Fmi.

Infine, coinvolgendo il Fondo, anche i Paesi meno avanzati potrebbero contare sulle migliori competenze internazionali per affrontare il problema. Se un grosso sversamento di petrolio ad Haiti minacciasse il Golfo del Messico, impiegheremmo la tecnologia migliore (e non solo la tecnologia disponibile ad Haiti) per contenerlo. Perché dovremmo fare diversamente per i mercati finanziari?

L’ultimo problema da risolvere è quello delle condizioni per procedere a un intervento. Nel caso dell’autorità per le liquidazioni americana, questo è stato un punto molto controverso. Il timore era che banche potenti si approfittassero degli aiuti pubblici chiedendo un intervento troppo presto.

Questo problema nel contesto internazionale può essere evitato con due meccanismi di salvaguardia. Il primo è costituito dalla presenza di regole rigide, che facciano piazza pulita degli azionisti e penalizzino i creditori a lungo termine, un chiaro deterrente dal punto di vista delle banche. Il secondo è il fatto che l’intervento del Fmi ridurrebbe l’influenza di personaggi potenti e con gli agganci giusti a livello nazionale, e dunque renderebbe meno appetibile un intervento prematuro. A chiedere l’intervento sarebbe il Governo nazionale stesso. Rifiutare l’aiuto internazionale in casi del genere equivarrebbe a un suicidio elettorale per qualsiasi esecutivo alla prese con il tracollo di una grande banca.

Sono pochi i casi in cui l’intervento pubblico è notoriamente in grado di creare valore: uno di questi casi è quando serve limitare gli effetti devastanti della crisi di una banca. Solo un Governo sufficientemente potente, in termini di autorità giuridica e solvibilità, è in grado di farlo. Purtroppo in campo internazionale queste due condizioni non vengono quasi mai soddisfatte. Dare al Fmi il potere di assumere il controllo di banche internazionali in bancarotta permetterebbe di riempire questo vuoto e scacciare il nostro incubo peggiore.


Luigi Zingales è professore di imprenditoria e finanza presso la Booth School of Business dell’Università di Chicago; è anche l’autore, insieme a Raghuram G. Rajan, del saggio Salvare il capitalismo dai capitalisti (Einaudi, Torino 2004).
Copyright: Project Syndicate, 2010.www.project-syndicate.org(Traduzione di Fabio Galimberti)

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