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Questo articolo è stato pubblicato il 28 luglio 2010 alle ore 08:00.
MILANO - Prima che il consiglio regionale lombardo approvasse a sorpresa un emendamento del Pd a favore dell'esproprio per le aree Expo, la famiglia Cabassi proprietaria del 25% dei terreni in questione, dopo essere stata chiamata in causa più volte negli ultimi mesi, ha rotto il silenzio per esporre la sua versione dei fatti.
In un incontro con alcuni giornalisti i fratelli Matteo e Marco Cabassi hanno ricostruito quanto avvenuto nell'ultimo quadriennio, sottolineando che già nel giugno 2007 si era giunti a un accordo sulle aree basato sul comodato d'uso con i seguenti termini: un'intesa sul diritto di superficie, la cessione al Comune della metà delle aree e l'edificabilità sulla parte restante con indice di 0,6mq/mq che poi scendeva di fatto a 0,52 perché parte dei terreni venivano riservati a Palazzo Marino. Dopo un passaggio in consiglio, venne messo a punto il dossier di candidatura in cui si evidenziò l'esistenza dell'accordo. Poi, nell'ottobre 2008 la Moratti promosse un accordo di programma che recepiva quanto concordato con i proprietari delle aree, che venne condiviso da Regione, Provincia e Comune. «A fronte di tale accordo – afferma Marco Cabassi – ora come può la Regione dire che non aderirà ad alcun accordo con i privati? Di fatto ha già aderito nel 2008 e per lo stesso motivo non può dire che è stata tenuta fuori dalla vicenda dei terreni fino a pochi mesi fa».
Insomma, il governatore Formigoni ha un bel dire oggi di non voler scendere a patti troppo vantaggiosi per i proprietari delle aree, perché secondo i Cabassi tutto è già stato scritto. Loro avevano trovato anche un'intesa sulla cessione dei terreni, come proposto dal precedente amministratore delegato di Expo 2015, Lucio Stanca. «Avevamo raggiunto un accordo – precisa Matteo Cabassi – su 180 milioni di euro per l'intera area (che include anche Fondazione Fiera Milano), ma poi i soci di Expo hanno deciso di non concludere la trattativa».
Quattro anni di lavori per arrivare a due punti morti, a due soluzioni che comunque i Cabassi ritengono ancora aperte e percorribili. Se venissero di nuovo offerti 180 milioni sarebbero ancora disposti a vendere, anche se preferirebbero la soluzione del comodato d'uso perché più in linea con la loro attività di sviluppatori immobiliari. Ma anche quest'ultima potrebbe essere rivista «purché sulla base di presupposti seri e di un interlocutore unico che possa condurre la trattativa».