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Economia Gli economisti

Gli aiuti allo sviluppo in cinque facili mosse

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Questo articolo è stato pubblicato il 30 luglio 2010 alle ore 09:52.


NEW YORK ‧‧– Ogni Paese, ricco e povero, dovrebbe garantire a tutti i servizi sanitari di base, come parti sicuri, nutrizione, vaccini, controllo della malaria e servizi ambulatoriali. Ogni anno, quasi nove milioni di bambini muoiono a causa di problemi sanitari che potrebbero essere prevenuti o curati, e quasi 400mila donne muoiono per complicazioni durante il parto.

Quasi tutti questi decessi avvengono nei Paesi più poveri del mondo. È importante mettervi rimedio non solo per ridurre la sofferenza umana, ma anche per creare le condizioni per la prosperità economica in società povere e instabili.

L’ostacolo più grande da questo punto di vista è rappresentato dal fatto che i Paesi più poveri non possono permettersi un’assistenza medica universale, nonostante i costi pro capite siano molto limitati. Grazie alle immunizzazioni, ai farmaci moderni, alle diagnosi più all’avanguardia, ai telefoni cellulari e ad altre tecnologie nuove, l’assistenza sanitaria universale ormai è molto efficace e poco costosa, circa 54 dollari pro capite l’anno nei Paesi più poveri.

Eppure, a causa delle loro limitatissime risorse, i Paesi più poveri possono permettersi di stanziare solo circa 14 dollari a persona. Servono aiuti finanziari da parte degli altri Paesi per coprire la differenza, circa 40 dollari a persona l’anno. Con circa un miliardo di poveri che ancora non ha accesso alle cure mediche di base, la somma complessiva necessaria è di circa 40 miliardi di dollari l’anno. I donatori esteri, tra cui gli Stati Uniti, l’Unione Europea e il Giappone, attualmente forniscono circa un terzo del totale, più o meno 14 miliardi di dollari l’anno.

La parte che resta da coprire dunque è più o meno di 26 miliardi di dollari. Con quei soldi si salverebbero ogni anno le vite di molti milioni di madri e bambini.

Non è una grande cifra per i Paesi ricchi, eppure non vogliono tirarla fuori. L’ammanco più eclatante è quello del Fondo globale per la lotta all’Aids, alla tubercolosi e alla malaria, un’iniziativa globale per aiutare i Paesi più poveri a combattere queste malattie letali. Il Fondo globale è disperatamente a corto di denaro, eppure l’amministrazione Obama e altri Governi fanno orecchie da mercanti.

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Tags Correlati: Afghanistan | Aiuti alle imprese | Bill Gates | Cina | Earth | Exxon-Mobil | Fabio Galimberti | George Soros | Jeffrey D. Sachs | Jeffrey Skoll | Stati Uniti d'America | Wall Street | Warren Buffett

 

Per i Paesi ricchi non sarebbe un problema trovare questi soldi. Gli Stati Uniti potrebbero cominciare mettendo fine alla costosa e fallimentare guerra afghana, che succhia via circa 100 miliardi di dollari l’anno. Se Washington destinasse una minuscola frazione di quei 100 miliardi agli aiuti allo sviluppo per l’Afghanistan, vedremmo molti più passi avanti in direzione della pace e della stabilità, in quel Paese devastato dalla guerra.

Con i soldi risparmiati, gli Stati Uniti potrebbero dare 25 miliardi di dollari in aiuti allo sviluppo ogni anno, e altri 25 miliardi di dollari per la salute mondiale, e risparmiare comunque 50 miliardi di dollari l’anno da usare per ridurre il disavanzo di bilancio. L’Afghanistan, e di conseguenza gli Stati Uniti, sarebbero molto più sicuri, il mondo sarebbe molto più sano e l’economia americana ne trarrebbe un enorme beneficio.

Una seconda possibilità sarebbe quella di tassare le grandi banche internazionali, che realizzano profitti eccessivi sui loro scambi speculativi. Wall Street ha quasi fatto affondare l’economia mondiale, eppure il Governo americano ha continuato a coccolarla e proteggerla, e le ha consentito, lo scorso anno, di tornare a realizzare profitti colossali (forse 50 miliardi di dollari).

I banchieri hanno ricominciato ad autoversarsi maxigratifiche (oltre 20 miliardi di dollari nel 2009). Questi soldi sarebbero dovuti andare ai più poveri del mondo, non ai banchieri che certamente non se li sono guadagnati.

È ora di introdurre una tassa internazionale sui profitti delle banche (magari sotto forma di un prelievo sulle transazioni finanziarie internazionali), che consentirebbe di raccogliere decine di miliardi di dollari ogni anno. I Paesi in via di sviluppo dovrebbero chiedere con forza l’introduzione di questa tassa, senza accettare le misere scuse avanzate dagli Stati Uniti e da altri Paesi per difendere i loro banchieri.

Una terza possibilità consisterebbe nell’ottenere maggiori contributi da parte degli individui più ricchi del mondo. Molti di loro, come Bill Gates, George Soros, Warren Buffett e Jeffrey Skoll sono già dei megafilantropi, che stanziano somme colossali per il bene del pianeta. Ma altri miliardari non hanno ancora fatto donazioni comparabili.

Secondo l’ultima lista di Forbes, ci sono 1.011 miliardari nel mondo, con un patrimonio netto complessivo di 3.500 miliardi di dollari. Questo significa che se ogni miliardario donasse lo 0,7 per cento del suo patrimonio, si avrebbero 25 miliardi di dollari l’anno. Pensate, mille persone potrebbero garantire le cure mediche di base a un miliardo di poveri.

Una quarta possibilità è quella di rivolgersi ad aziende come la Exxon-Mobil, che guadagna ogni anno miliardi di dollari in Africa, ma che secondo un comunicato stampa sul sito della compagnia ha speso soltanto 5 milioni di dollari l’anno circa per programmi di lotta alla malaria dal 2000 al 2007. La Exxon-Mobil potrebbe e dovrebbe dare molti più soldi per finanziare i servizi sanitari di base di cui il continente nero ha urgente necessità, o attraverso i diritti di sfruttamento pagati dalla compagnia o attraverso donazioni filantropiche.

Un quinto scenario è quello che vede coinvolti i nuovi Paesi donatori, come il Brasile, la Cina, l’India e la Corea del Sud, nazioni che hanno la visione, l’energia, il dinamismo economico e l’interesse diplomatico per potenziare gli aiuti ai Paesi più poveri, oltre che alle regioni più povere dei loro stessi Paesi. Se gli Stati Uniti e l’Europa sono troppo negligenti e non fanno fino in fondo la loro parte, le economie emergenti possono e vogliono coprire parte dell’ammanco. Fortunatamente, questi nuovi donatori stanno diventando partner fidati del continente nero.

Il mondo ricco dice che gli mancano i soldi per fare di più, ma quello che gli manca non sono le risorse, è l’immaginazione. Gli Stati Uniti devono dirottare tutti i fondi che sprecano per la difesa in nuovi finanziamenti per la salute. Il mondo deve introdurre una tassa globale sulle banche. I miliardari devono incrementare le loro attività filantropiche. Le compagnie petrolifere devono dare più soldi. I nuovi Paesi donatori come la Cina possono colmare il buco negli aiuti lasciato dai tradizionali Paesi donatori.

I soldi ci sono. I bisogni sono urgenti. È una sfida che implica senso morale e capacità di visione.

Jeffrey D. Sachs è il direttore dell’Earth Institute dell’Università Columbia.
Copyright: Project Syndicate, 2010.
www.project-syndicate.org(Traduzione di Fabio Galimberti)

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