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Economia Aziende

Altolà della Ue al made in Italy

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Questo articolo è stato pubblicato il 29 luglio 2010 alle ore 08:06.


MILANO
Più che una messa in mora, ha il tono di un avvertimento: così com'è la legge italiana sul made in Italy non va bene. «Vorrei invitare le autorità italiane a tenere in conto le osservazioni appena esposte e a tenermi informato riguardo alle misure che esse intendono adottare per assicurare che la normativa in questo settore sia in linea con le disposizioni del Trattato e della Direttiva 98/34/Ce». Così si conclude la lettera inviata ieri all'ambasciatore italiano a Bruxelles da Heinz Zourek, direttore generale della Direzione Impresa e industria.
Prima ancora di entrare nel merito della legge Reguzzoni-Versace–Calearo, Zourek osserva che «gli Stati membri devono comunicare alla Commissione le bozze di regolamentazione tecnica prima della loro adozione e comunque a uno stadio in cui siano ancora possibili modifiche sostanziali». Questo non è avvenuto perché la legge è stata varata il 17 marzo scorso e notificata il 7 maggio, «quando non poteva più essere considerata come bozza». Quindi la notifica è irregolare.
Quanto al tema stesso della legge, la Direzione impresa ricorda che la Corte di Giustizia, in diverse occasioni, ha sottolineato che «gli schemi di marcatura nazionale, siano essi obbligatori o volontari, sono contrari agli obiettivi del mercato interno perché possono rendere più difficile la vendita in uno stato membro di una merce prodotta in un altro stato membro, facendo venir meno di conseguenza i benefici del mercato interno». E cita una sentenza del 2002 che riguardava un problema simile relativo alla Germania e una del 1983, in seguito al tentativo del Regno Unito di introdurre il marchio made in England. Inoltre «la Corte – si legge ancora nella lettera inviata ieri all'ambasciatore a Bruxelles Ferdinando Nelli Feroci – ha considerato che nessuna ragione imperativa legata alla protezione dei consumatori potesse giustificare tale norma». Niente da fare, quindi.
Una sorta di gaffe sembra poi quella compiuta dal legislatore italiano quando afferma che per i prodotti che non assolvono ai criteri per cui possa essere apposto il marchio made in Italy, l'indicazione del paese di origine «rimarrà obbligatoria, nel rispetto della normativa comunitaria». Che non c'è. «Non è chiaro – scrive Zourek – a quale legislazione comunitaria faccia riferimento questa disposizione, dato che non esiste un regolamento che preveda un sistema di etichettatura obbligatoria a livello Ue».

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Tags Correlati: Ambasciate d'Italia | Bruxelles | Concorrenza | Corte di Giustizia | Direzione Generale | Ferdinando Nelli Feroci | Gran Bretagna | Heinz Zourek | Stati Membri

 

Non si parla nè di infrazioni nè di sanzioni, in questa lettera, ma il pericolo per l'Italia è proprio quello di essere sanzionata da Bruxelles. Il direttore generale si limita a concludere il suo scritto dicendo «i miei servizi sono disponibili a un incontro con le autorità italiane al fine di avviare un dialogo costruttivo su questi temi». Uomo avvisato mezzo salvato, dice il proverbio.
Ma c'è un altro punto ancora sospeso. Zourek ricorda che l'articolo 2 della legge italiana prevede che «entro 4 mesi dall'entrata in vigore venga adottato un decreto il cui scopo sarà quello di determinare le caratteristiche del sistema di etichettatura obbligatoria e l'uso del marchio made in Italy. È previsto – sottolinea – che tale decreto venga notificato alla Commissione allo stato di bozza». Come dire, questa volta cercate di rispettare le regole e farlo vedere prima che sia varato.
Il problema (si veda Il Sole 24 Ore del 15 luglio) è che il decreto ancora non c'è, e non c'è neppure una bozza a quanto sembra. Risultato: la legge è in vigore dall'aprile scorso, ma la sua efficacia è stata rinviata al 1° ottobre. Se però i decreti non arrivano resterà inefficace anche dopo perchè nessuno saprà come applicarla. E allora? Gli imprenditori non sanno cosa fare, e ottobre è alle porte.
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LA LETTERA

La replica di Bruxelles
Ecco il testo della lettera che la direzione generale Impresa e Industria della Commissione Ue ha inviato all'Ambasciatore italiano. Il primo punto contestato è relativo alle procedure di notifica alle autorità comunitarie considerate «irregolari». Viene posta poi una questione di compatibilità con le disposizioni del Trattato sulla libera circolazione delle merci, in particolare per quanto riguarda il sistema di etichettatura e l'indicazione di origine obbligatoria .
LA NORMATIVA

L'etichetta
L'articolo 1 della legge Reguzzoni, già in vigore, ma applicabile da ottobre, crea un sistema di etichettatura obbligatoria dei prodotti finiti e intermedi, cioè quelli destinati alla vendita, che evidenzi il luogo di origine di ogni fase di lavorazione, assicurando la tracciabilità dei prodotti stessi.
I requisiti
Per ogni settore vengono individuate le fasi di lavorazione. Per il tessile sono: la filatura, la tessitura, la nobilitazione e la confezione compiute nel territorio italiano anche utilizzando fibre naturali, artificiali o sintetiche di importazione. Per la pelletteria: la concia, il taglio, la preparazione, l'assemblaggio e la rifinizione compiuti sul territorio italiano anche utilizzando pellame grezzo di importazione. Per il calzaturiero: la concia, la lavorazione della tomaia, l'assemblaggio e la rifinizione compiuti nel territorio italiano anche utilizzando pellame grezzo di importazione. Le fasi di lavorazione del prodotto conciario sono: riviera, concia, riconcia, tintura, ingrasso e rifinizione. Per il settore divani le fasi sono: la concia, la lavorazione del poliuretano, l'assemblaggio di fusti, il taglio della pelle e del tessuto, l'assemblaggio e la rifinizione compiuti nel territorio italiano anche utilizzando pellame grezzo di importazione.
Le sanzioni
In caso di violazione della norma sono previste sanzioni amministrative che possono superare i 100mila euro; in caso di reiterazione della violazione è prevista la sospensione dell'attività della impresa per un periodo da un mese a un anno.

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