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Economia Gli economisti

Il mito della fiducia del mercato

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Questo articolo è stato pubblicato il 02 agosto 2010 alle ore 14:41.

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CAMBRIDGE – Uno spettro si aggira per l’Europa- lo spettro della fiducia del mercato.

Può darsi che a turbare i governi fosse la paura del comunismo, quando Karl Marx scrisse nel 1848 le prime righe del suo famoso Manifesto. Ma oggi ad aggirarsi e a impaurire è il timore che i mercati possano rivoltarsi contro gli stati e spingere verso l’alto gli spread del loro debito pubblico, cioè i costi del debito rispetto a quelli dei paesi più solidi. Ovunque i governi sono spinti quindi ad adottare premature misure di austerità fiscale, anche se la disoccupazione rimane troppo alta e la domanda privata non dà molti segni di vita. Molti paesi sono spinti ad adottare riforme strutturali nelle quali credono solo a metà, e per il solo fatto che non adottarle sarebbe – si pensa – malvisto dai mercati.

Il terrore diffuso dagli umori dei mercati incalzava una volta soltanto i paesi poveri. Durante la crisi debitoria dell’America Latina negli anni 80 o la crisi finanziaria asiatica del 1997, ad esempio, paesi in via di sviluppo e ad alto indebitamento ritennero di avere ben poche alternative: inghiottire l’amara medicina o assistere a una fuga disordinata e definitiva di capitali. Apparentemente adesso è la volta di Spagna, Francia, Gran Bretagna, Germania e, molti analisti sostengono, anche degli Stati Uniti.

Se si vuole continuare a prendere denaro a prestito, occorre che il creditore sia convinto della capacità del debitore di restituirlo. Su questo non esistono dubbi. Ma in tempi di crisi la fiducia dei mercati segue vie tutte sue. Diventa un concetto astratto privo di reale significato economico. Diventa quella che i filosofi chiamano un concetto sociale – qualcosa che trae concretezza dal solo fatto che crediamo sia vera.

Se le logiche economiche fossero evidenti, i governi non dovrebbero giustificare ciò che fanno sulla base della fiducia dei mercati. Sarebbe chiaro ciò che funziona e ciò che no, e il perseguire le politiche giuste sarebbe la via affidabile per ridare fiducia. Cercare la fiducia dei mercati sarebbe pleonastico.

Quindi, se la fiducia dei mercati ha un senso, deve trattarsi di qualcosa che va oltre la i semplici fondamentali economici. Ma esattamente, di che si tratta?

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Tags Correlati: Dani Rodrik | Europa | Harvard | John | Karl Marx | Occupazione | Social Science Research Council

 

Nel suo Manifesto comunista Marx arrivava a dire che è tempo ormai per i Comunisti di dichiarare apertamente, di fronte al mondo intero, le proprie opinioni, obiettivi, tendenze, affrontando questa favola dello spettro del comunismo con un Manifesto del partito. Analogamente, sarebbe bello se i mercati chiarissero che cosa intendono per fiducia in modo che tutti possano sapere di che cosa si sta parlando.

Naturalmente è difficile che i mercati vogliano compiere un passo del genere. E questo non solo perché sono composti da una moltitudine di investitori e speculatori poco propensi a mettersi insieme e a scrivere un programma di partito. Ma soprattutto perché i mercati stessi non saprebbero molto che dire.

La capacità di un governo di onorare il suo debito, e la volontà di farlo, dipendono da una congerie amplissima di circostanze presenti e future. Non solo dai piani di imposizione fiscale e di spesa, ma anche dallo stato dell’economia, dalla congiuntura esterna e dal contesto politico. Tutti aspetti ad alto tasso di incertezza, che richiedono molte componenti per arrivare a un giudizio affidabile di solvibilità.

Si direbbe che oggi i mercati ritengono la dimensione dei debiti pubblici l’elemento fondamentale per valutare la solvibilità di un governo. Può darsi che domani riterranno elemento fondamentale la bassa crescita, criticando le politiche fiscali rigide che l’hanno determinata.

Oggi i mercati sospettano dei governi deboli incapaci di prendere le dure decisioni necessarie per affrontare la crisi. Domani potrebbero passare notti insonni sulle dimostrazioni di massa e i conflitti sociali che le dure decisioni economiche hanno innescato.

Pochi possono prevedere la direzione che i mercati prenderanno, e meno che meno gli operatori stessi. Anche per chi ha buone informazioni, è a volte difficile capire perché i mercati si muovono in una direzione piuttosto che in un’altra. Politiche simili possono produrre reazioni diverse a seconda dell’umore dominante al momento. Ed è per questo che far dipendere l’economia dalla bussola della fiducia dei mercati è affidarsi alla guida dello stolto.

Il filo d’Arianna in tutto questo è il fatto che, a differenza di economisti e politici, i mercati non hanno un’ideologia. E finché esistono margini di utile non temono di doversi sconfessare, e indicare sbagliato ciò che dichiaravano giusto ieri. Semplicemente vogliono qualcosa che funzioni, che assicuri cioè un clima economico stabile e sano che possa portare ad onorare il debito. E quando le circostanze diventano sufficientemente difficili, possono anche accettare la ristrutturazione del debito, se la prospettiva è il caos e una perdita potenzialmente maggiore ancora dei crediti concessi.

Queste considerazioni dovrebbero offrire ai governi un maggiore spazio di manovra. Consentono a una classe politica con fiducia in se stessa di restare in controllo del proprio futuro. Consentono di scrivere il copione sul quale si articola la fiducia dei mercati, piuttosto che rincorrerlo.

Ma per utilizzare vantaggiosamente questo spazio di manovra, i leader politici devono articolare una spiegazione coerente, conseguente e credibile di che cosa stanno facendo, sulla base di buone scelte, economiche e politiche. Devono dire: facciamo questo non perché lo chiedono i mercati, ma perché è giusto e utile, e questi sono i motivi.

Il ragionamento deve convincere sia gli elettori che i mercati. Se vi riescono, i politici possono sia perseguire le politiche scelte che mantenere la fiducia dei mercati, contemporaneamente.

Ed è questo l’approdo che i governi europei (insieme ai loro consiglieri economici) hanno mancato. Alla fine si sono ridotti a fare un feticcio delle esternazioni degli analisti di mercato. E così facendo si sono preclusi la strada verso politiche economicamente più appropriate e con maggiori probabilità di raccogliere il consenso popolare.

Se la crisi attuale peggiorerà, saranno i leader politici a sopportarne le responsabilità maggiori. E non perché hanno ignorato i mercati, ma perché li hanno ascoltati troppo seriamente.

Dani Rodrik è professore di Politica Economica alla John F. Kennedy School of Government dell’Università di Harvard ed è stato il primo accademico onorato con il premio Albert O. Hirschman del Social Science Research Council. Il suo ultimo libro è One Economics,Many Recipes: Globalization, Institutions, and Economic Growth.

Copyright: Project Syndicate, 2010.www.project-syndicate.orgPer un podcast di questo articolo in inglese:

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