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Questo articolo è stato pubblicato il 23 agosto 2010 alle ore 12:46.
A vent'anni esatti dalla riunificazione un terzo dei tedeschi dell'est non vuole più rimanere a vivere dove è nato ed è pronto ad emigrare, nell'ovest del paese o all'estero. Lo documenta uno studio dell'Istituto Leif di Lipsia, riportato in prima pagina dal quotidiano Die Welt, secondo il quale il 32% degli «Ossis», i tedeschi dell'est, è pronto a lasciare l'ex territorio della Ddr, mentre addirittura più di uno studente universitario su due (57%) si prepara a fare altrettanto, intenzione condivisa dal 46% dei disoccupati.
A voler abbandonare i cinque laender tedesco-orientali è la metà dei giovani di età compresa fra 16 e 25 anni, ma anche il 26% di chi ha tra 55 e 65 anni. Il Welt scrive che «chi percorre l'est della Germania sa cosa significano paesaggi spopolati», mentre durante un lungo percorso autostradale nella Sassonia-Anhalt «l'unico segnale di vita è l'insegna blu di un autogrill».
Intanto, in un'intervista al quotidiano Passauer Neue Presse l'ultimo primo ministro democraticamente eletto della Ddr, Lothar de Maizière (Cdu), contesta il concetto di «unrechtsstaat», negazione dello stato di diritto, con cui si continua a definire la Ddr. «Si tratta di una definizione infelice», spiega l'esponente cristiano-democratico, poichè «la Ddr non era uno stato di diritto completo, ma nemmeno la negazione di esso. Con questa definizione si sottintende che tutto ciò che venne fatto in nome del diritto fosse illegale». «Anche nella Ddr un assassinio era un assassinio ed un furto era un furto», afferma de Maiziere, che nella Ddr faceva di professione l'avvocato e secondo il quale «l'unico problema erano il diritto penale politico e la mancanza di una giurisdizione amministrativa».