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Economia Gli economisti

Gazzelle e tartarughe

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Questo articolo è stato pubblicato il 26 agosto 2010 alle ore 13:34.


MONACO – La peggiore crisi finanziaria del mondo dal dopoguerra è finita. È scoppiata improvvisamente nel 2008, e, dopo circa 18 mesi, è svanita quasi con la stessa rapidità con la quale si è manifestata. I programmi di salvataggio delle banche nell’ordine di 5 trilioni di euro e i programmi di stimolo keynesiani per un ulteriore trilione di euro hanno evitato il collasso. Dopo la contrazione pari allo 0,6% nel 2009, secondo le previsioni del Fondo monetario internazionale si registrerà quest’anno una crescita del Pil mondiale del 4,6%, e del 4,3% nel 2011 – più rapida della crescita media registrata negli ultimi tre decenni.

La crisi del debito europeo, tuttavia, resta, e i mercati non si fidano totalmente della calma apparente. I premi dei rischi, che devono pagare i paesi in difficoltà finanziaria, restano alti e segnalano un rischio permanente.

Il premio dei tassi di interesse greci, rispetto alla Germania, sui bond governativi con scadenza decennale si attestava all’8,6% il 20 agosto, ovvero a un valore persino più alto di quello riscontrato alla fine di aprile, quando la Grecia diventò praticamente insolvente e l’Unione europea si apprestava a preparare le misure di salvataggio. Sono cresciuti anche gli spread per Irlanda e Portogallo, anche se alla fine di luglio sembrava che l’enorme pacchetto di salvataggio da 920 miliardi di euro messo insieme dall’Unione europea, dall’Eurozona, dal FMI e dalla Banca centrale europea avrebbe tranquillizzato i mercati.

Il mondo è attualmente diviso in due gruppi: il primo comprende i paesi che tireranno la volata e il secondo comprende i paesi che sono rimasti indietro e segnalano nuove problematiche. I paesi BRIC – Brasile, Russia, India e Cina – rientrano nel primo gruppo. Anche per la Russia, dove la ripresa è stata difficoltosa ed esitante, si prevede per quest’anno una crescita del 4,3%. La Cina resta in testa, con un tasso di crescita intorno al 10%.

Il secondo gruppo include i paesi con problemi di debito, tra tutti gli Stati Uniti. Mentre si prevede una crescita degli USA del 3,3% per quest’anno e del 2,9% per il prossimo anno – approssimativamente la media di lungo termine degli ultimi 30 anni - non si può tuttavia parlare di ripresa autosostenuta, dato che si prevede per quest’anno un terrificante deficit di bilancio pari all’11% del PIL, che nel 2011 si attenuerà a un pur alto 8,2%.

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Tags Correlati: Bce | Cina | Fannie Mae | Fmi | Francia | Freddie Mac | Ginnie Mae | Grecia | Hans-Werner Sinn | Irlanda | Mercato del lavoro | Russia | Simona Polverino | Spagna | Stati Uniti d'America |

 

Malgrado non soffrano più una crescita della disoccupazione, gli USA registrano attualmente un tasso molto alto di disoccupati, pari al 9,5%, circa il doppio del livello registrato prima della recessione. Il problema rimane il mercato immobiliare, il cui collasso ha causato la crisi. L’indice Case-Shiller per le case unifamiliari sembra essersi ripreso nella primavera del 2009, dopo un declino del 34% rispetto all’ultimo boom. Ma i prezzi delle case da allora sono bassi e non mostrano un trend consistente.

La costruzione di nuove case unifamiliari a maggio del 2010 era al punto più basso da quando fu introdotto questo indicatore nel 1963. I prezzi immobiliari commerciali sono scesi da maggio a giugno di quest’anno di un allarmante 4%. Tutto questo implica effetti negativi per i consumi USA, per il settore edilizio e per il sistema bancario.

Inoltre, nonostante le recenti leggi di riforma bancaria, gli USA non hanno ancora risolto le mancanze strutturali relative ai mercati di capitale. Il problema principale è che il flusso di credito estero è stato compromesso, perché i titoli garantiti da mutui ipotecari e i derivati USA basati su di essi, difficilmente riuscivano ad essere venduti.

Quel mercato si è semplicemente disintegrato, con un volume annuale di emissioni che è precipitato del 97% – da 1,9 trilioni di dollari a solo 50 miliardi di dollari – tra il 1996 e il 2009. Quasi tutti i finanziamenti dell’edilizia del 2009 (il 95%) dovettero passare dalle agenzie di stato Fannie Mae, Freddie Mac e Ginnie Mae per prevenire un collasso totale dell’economia USA.

In Europa, il quadro è variegato. Gli ex paesi del boom – Grecia, Irlanda e Spagna – restano in fase di recessione, e il loro PIL continua a ridursi. Il tasso di disoccupazione in Spagna, una delle maggiori economie d’Europa, è schizzato al 20% e continua a non mostrare segni di miglioramento. L’economia spagnola si è contratta del 3,6% nel 2009, e si prevede quest’anno una riduzione dello 0,4%. Per la Finlandia, la Gran Bretagna e l’Italia, si prevedono tassi di crescita al di sotto della media.

Ma la maggiore economia d’Europa, la Germania, sta attraversando una ripresa economica sorprendentemente forte. L’indicatore del ciclo economico Ifo è ora chiaramente in una fase di boom, sia in relazione alle aspettative sia in merito alle valutazioni della situazione attuale. Infatti, nella sua cinquantennale storia, l’indicatore non è mai salito così tanto come negli ultimi 12 mesi.

Per la Germania, che per molti anni è stato un paese lento dell’Europa, si stima una crescita quest’anno di circa il 3% o più, mentre la media dei 15 stati UE (e dei 27 UE) si attesta solo all’1,1%. Anche il mercato del lavoro tedesco ha mostrato un miracoloso recupero. Il tasso di disoccupazione, ora al 7%, è leggermente inferiore rispetto al picco dell’ultimo boom, nell’autunno del 2008, e secondo le previsioni registrerà un calo.

Dall’altro lato, la Francia, la seconda maggiore economia d’Europa, ha difficoltà. Il suo tasso di disoccupazione è attualmente al 10%, e la crescita del PIL quest’anno si avvicinerà all’1,3%, solo leggermente al di sotto della media europea. Mentre il tasso di disoccupazione tedesco è ora lievemente al di sotto rispetto all’ultimo boom, quello francese è notevolmente superiore rispetto all’ultimo crollo (2004-2005).

La spiegazione per questo mondo diviso è che paesi come Grecia, Spagna e Stati Uniti, che hanno vissuto un lungo boom finanziato da ingenti importazioni di capitale, ora hanno sempre più difficoltà nel trovare finanziamenti esteri. Per contro, i paesi che hanno esportato capitale ora godono di un eccesso di liquidità perché il capitale non viene più investito nei paesi saturi. Tale fornitura di credito in eccesso comporta altri consumi e investimenti, scatenando un boom.

Il mondo occidentale sta attualmente vivendo un processo di ribilanciamento del portafoglio, che sta invertendo il ranking internazionale dei tassi di crescita rispetto a quelli presenti prima della crisi. Gli ex campioni ora stanno arrancando; le ex tartarughe stanno scattando come gazzelle.

Hans-Werner Sinn è professore di economia e finanza pubblica all’Università di Monaco, e presidente dell’Istituto tedesco Ifo.

Copyright: Project Syndicate, 2010.www.project-syndicate.orgPer un podcast di questo articolo in inglese:Traduzione di Simona Polverino

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