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Economia Gli economisti

Il Giappone è finito nella trappola della deflazione e gli Stati Uniti sono già a buon punto

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Questo articolo è stato pubblicato il 27 agosto 2010 alle ore 14:40.

Il "decennio perduto" del Giappone probabilmente ne ha cambiato in peggio la società. Vent'anni di battaglie contro la stagnazione hanno finito col lasciare il segno: così riferisce l'esperto di economia Charles Hugh Smith in un articolo online per Aol Daily Finance. L'autore dell'articolo sostiene infatti che le «conseguenze per le ‘generazioni perdute' cresciute e diventate adulte nei ‘decenni perduti'» sono state disastrose. «Per molti aspetti le consuetudini sociali in Giappone si stanno sfilacciando e stanno venendo meno per le pressioni di un'economia in declino apparentemente continuo» scrive Smith.

Egli afferma altresì che dal momento che negli ultimi vent'anni hanno dovuto subire tanti licenziamenti e visto le proprie aspettative e opportunità ridimensionarsi incessantemente, i giovani lavoratori giapponesi sono diventati meno competitivi. Molti considerano inutili gli anni trascorsi a studiare e a prepararsi a competere per conquistare un numero sempre più esiguo di posti di lavoro ben remunerati.

Negli Stati Uniti siamo già a buon punto in questo stesso processo auto-lesivo, analogo o addirittura più grave. La buona notizia è che sempre più americani sono ormai consapevoli dei rischi connessi a una trappola in stile giapponese. Non tutti, però. Scott. B. Sumner, blogger e professore di economia alla Bentley University in Massachusetts, pochi giorni fa ha contestato apertamente l'idea che il Giappone sia immobilizzato in una trappola deflazionistica. La trappola si crea allorché i prezzi in caduta rendono sia i consumatori sia le imprese meno disposti a spendere o a investire, in quanto si aspettano sempre che i prezzi continuino a scendere, e ciò prostra ancor più l'economia.

Sumner sostiene che il Giappone abbia alimentato la deflazione di proposito: «Ho avuto l'impressione che la Banca del Giappone fosse ultra-conservatrice e desiderasse una moderata deflazione. In realtà, credevo che ciò fosse alquanto chiaro a tutti, ma immagino che non sia così». Immagina bene: mi dispiace smentirlo, ma il Giappone è proprio immobilizzato in una trappola deflazionistica. Si può anche sostenere che la banca centrale avrebbe dovuto fare di più per cercare di scongiurare tale evenienza – e io lo avrei fatto -, ma una deflazione permanente non è il suo obiettivo.

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Tags Correlati: Anna Bissanti | B. Sumner | Banca del Giappone | Bentley | Charles Hugh Smith | Inflazione | Stati Uniti d'America

 

Il Giappone si trova in questa situazione perché la sua tradizionale politica monetaria ha perso mordente e la Banca del Giappone non è disposta a essere più temeraria. Se si osserva il grafico riportato in questa stessa pagina, che illustra in sintesi la base monetaria in Giappone, si prende atto di un cospicuo aumento dal 1999 al 2003. Questo è il risultato di una politica di allentamento quantitativo, tentativo al quale il Giappone ha fatto ricorso per porre fine alla deflazione riempiendo le banche di riserve nella speranza che i soldi sarebbero andati a finire da qualche parte. Così non è stato.

Sumner così continua: «Naturalmente, esistono molte altre ragioni che possono farci capire che il Giappone non è immobilizzato in alcun abisso deflazionistico. Nel bel mezzo della grande crisi deflazionistica del 2008-2009 questo paese ha lasciato che lo yen si rivalutasse fortemente, e nel 2006 ha diminuito drasticamente la propria base monetaria per scongiurare l'inflazione». Il grafico riflette la riduzione della base monetaria. A me non sembra così tragica, ma in ogni caso è il frutto di quello stesso tipo di dibattito in corso oggi negli Stati Uniti: alla Federal Reserve alcuni smaniano dalla voglia di uscire dalle politiche monetarie non convenzionali.

Traduzione di Anna Bissanti

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