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Economia Lavoro

Il sud vittima della «meritofobia»

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Questo articolo è stato pubblicato il 01 settembre 2010 alle ore 22:45.

Un senso di sfiducia diffuso e un grande auspicio: il ritorno del merito. Nella Sicilia delle continue stabilizzazioni di lavoratori precari e di una pubblica amministrazione debordante che ha confinato il privato quasi ai margini, predomina la sfiducia oppure la fuga. C'è chi come Anna, 35 anni, maturità linguistica, due lingue straniere parlate bene, si rifiuta di concorrere per avere un posto di lavoro da segretaria in una grande azienda, perché tanto «avranno già selezionato i soliti raccomandati».

E c'è chi, come Giuseppina Sciortino di Bagheria, 30 anni compiuti da poco, in tasca una laurea del Dams a Palermo con la specializzazione in arte, un master in gestione gestione delle risorse culturali, ti racconta dei vani tentativi di trovare un lavoro o dei tranelli che persino la pubblica amministrazione riserva in alcuni casi: «Cosa manca? Una vera e propria selezione, pubblica, trasparente e vera», dice. Insomma una valutazione sulla capacità, sulla preparazione.
L'esempio che arriva dalla pubblica amministrazione, del resto, non è dei migliori: la regione, gli enti locali, le società partecipate hanno consolidato fin qui le assunzioni per chiamata diretta, per cooptazione, per segnalazione politica. Forse è per questo che le migliori intelligenze te le ritrovi fuori, lontano da qui: giovani che hanno investito nella ricerca e nello studio che sono andati a lavorare altrove, magari all'estero in strutture di eccellenza. O anche in Italia, ma al Nord, riproponendo storie di emigrazione intellettuale. È il caso di Eleana Fratacci, due lauree, un master in risorse umane, varie esperienze lavorative, che ha già pronta la valigia per andarsene via dalla Sicilia, da Galati Mamertino in provincia di Messina dove abita a Milano: «Ero a Roma e sono tornata in Sicilia. Ho vinto un concorso per un lavoro a tempo al Parco dei Nebrodi ma scaduti i due anni non hanno rinnovato il contratto a nessuna delle venti persone che avevano superato la selezione. Eravamo quasi tutti laureati e certo fa specie che invece i precari, provenienti dai comuni, abbiano avuto un contratto a tempo indeterminato. A volte, viene da pensare non è il caso di studiare, di impegnarsi, perché in questa terra l'impegno non viene ripagato. E tutto ciò è terribile».

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Tags Correlati: Eleana Fratacci | Elita Schillaci | Formazione | Giuseppina Sciortino | Italia | Pubblica Amministrazione

 


Sembra chiaro che è stata uccisa la speranza. Non è solo questione di fuga di cervelli, ovviamente. Per definire questa situazione Elita Schillaci, docente di Economia all'Università di Catania, ha coniato il termine "meritofobia". Perché è una patologia la partenza dall'isola di oltre 11mila persone (la gran parte giovani) l'anno e tra costoro c'è, sicuramente, chi sfugge completamente alle rilevazioni sulla disoccupazione e la forza lavoro, perché di fronte alla "meritofobia" decide anzitempo di lasciare questa terra. «Prima ancora che la voglia di cercare nuove specializzazioni e studi che garantiscano in qualche modo prospettive professionali – dice la professoressa Schillaci – i ragazzi vogliono sfuggire al ricatto di una terra dove, devo dire purtroppo qui più che altrove, a pagare non è il merito, ma la raccomandazione. Al Sud questa situazione è patologica, è quella che io chiamo appunto meritofobia».


Ci sono parecchi elementi che spingono i giovani alla fuga o alla rinuncia. «Il primo – aggiunge ancora Elita Schillaci – è il fatto che ai blocchi di partenza non si è tutti uguali. C'è una differenza tra chi ha opportunità non legate al merito e chi non né ha. E c'è poi la differenza legata al rischio di essere stritolati dagli zombi del merito. Questa è una delle ragioni che frena molti ragazzi i quali dopo la laurea, dopo le specializzazioni, ma anche dopo alcune esperienze professionali formative, potrebbero aver voglia di tornare in Sicilia e al Sud in genere ma hanno paura di vedere i propri meriti confusi dai privilegi che hanno altri, dalle scorciatoie percorse da chi non ha uguali titoli, ma trova il modo di passare avanti. Certo deve cambiare anche la cultura dei ragazzi, perché ancora oggi quando propongo a qualcuno una stage alla zona industriale di Catania mi sento rispondere: è troppo lontano, professoressa, preferisco rinunciare».

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