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Economia Gli economisti

Troppo concentrati sulle istituzioni too big to fail?

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Questo articolo è stato pubblicato il 06 settembre 2010 alle ore 13:49.


LONDRA – È ovvio, che la crisi finanziaria globale del 2008-2009 è stata in parte una crisi delle banche e di altre istituzioni finanziarie rilevanti a livello sistemico come AIG. Di conseguenza, è nato un intenso dibattito sui problemi provocati dalle banche too big to fail, ovvero troppo grandi per essere lasciate fallire.

Dal punto di vista politico, questo dibattito si focalizza sui costi delle misure di salvataggio e sui piani fiscali progettati per recuperare il nostro denaro. Per gli economisti, il dibattito si concentra sull’azzardo morale generato dalle aspettative ex ante dei salvataggi, che sacrificano la disciplina di mercato a favore di un’eccessiva assunzione del rischio – e sull’ingiusto vantaggio implicitamente garantito ai grandi giocatori rispetto ai competitori small enough to fail, ovvero abbastanza piccoli per essere lasciati fallire.

Attualmente si discute delle numerose opzioni a disposizione della politica per risolvere questo problema, come ad esempio maggiori capital ratio per le banche rilevanti a livello sistemico, una supervisione più severa, limiti all’attività di trading, piani prestabiliti di risoluzione/risanamento e tasse che non hanno l’obiettivo di recuperare il nostro denaro, ma sono finalizzate all’internalizzazione delle esternalità (ovvero obbligano coloro che sono in difetto a pagare i costi sociali del proprio comportamento) e alla creazione di migliori incentivi.

Sono convinto che sia necessario trovare delle risposte al problema del too big to fail – in effetti, è la questione centrale di cui si occupa la Commissione permanente della Financial Stability Board, che presiedo. Non dobbiamo, però, confondere necessario con sufficiente; il punto è che concentrandoci solo sulle istituzioni troppo grandi per essere lasciate fallire rischiamo di distoglierci dalle questioni più importanti.

Agli occhi del pubblico, la grande attenzione riposta su queste istituzioni sembra giustificata dagli ingenti aiuti finanziari di salvataggio. Ma, quando ripenseremo a questa crisi, diciamo, tra dieci anni, resteremo sorpresi per quanto ci sembreranno esigui i costi diretti di salvataggio. Avremo l’impressione che molte garanzie dei fondi governativi siano state a costo zero: il supporto di liquidità fornito dalle banche centrali a tassi di mercato o punitivi porterà spesso a un guadagno e le iniezioni di capitali saranno parzialmente, se non interamente, recuperate, una volta che saranno cedute le quote di partecipazione.

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Tags Correlati: Adair Turner | Associazione Italiana alberghi per la Gioventù | Federal Deposit Insurance Corporation | Financial Services Authority | Financial Stability Board | Gran Bretagna | Istituzioni pubbliche | Simona Polverino |

 

Le stime relative ai costi fiscali totali di salvataggio variano da paese a paese, ma sono solitamente pochi punti percentuali del Pil. A seguito di questa crisi, è probabile, tuttavia, che i rapporti debito governativo-Pil nel Regno Unito e negli Stati Uniti registrino un incremento di 40-50 punti percentuali, e che anche altri fattori più significativi di danno economico (crescita scontata del Pil, maggiore disoccupazione, e perdita di ricchezza e reddito dei cittadini) crescano.

Tutto questo implica che il problema cruciale non è il costo degli aiuti pubblici di salvataggio, ma la volatilità macroeconomica indotta dalla precaria offerta di credito – inizialmente fornita con troppa facilità e a un prezzo troppo basso, e poi rigorosamente limitata. Ed è possibile (in effetti, direi probabile) che tali problemi di offerta di credito esisterebbero anche se venisse risolto efficacemente il problema del too big to fail.

Durante questa crisi le banche regionali degli Stati Uniti hanno concesso prestiti generosi per l’acquisto di immobili commerciali. Se tali banche falliscono, la Federal Deposit Insurance Corporation (FDIC) si occupa di risolvere il problema nel solito modo, e sempre in accordo con le aspettative di mercato. Anche nel Regno Unito abbiamo avuto simili problemi con le banche di medie dimensioni, erogatrici di mutui ipotecari, e con una serie di prestiti imprudenti concessi da istituti cooperativi di credito immobiliare per l’acquisto di immobili commerciali. Abbiamo anche avuto problemi con due banche di grandi dimensioni. L’Irlanda si trova a fronteggiare enormi problemi economici a seguito del boom immobiliare commerciale manovrato da banche che sono relativamente piccole secondo gli standard globali.

C’è il rischio quindi che un’eccessiva attenzione sul too big to fail potrebbe alimentare la convinzione secondo cui se solo riuscissimo a identificare e correggere alcuni fallimenti cruciali di mercato, potremmo finalmente ottenere un sistema stabile, in grado di restare in equilibrio autonomamente. Tuttavia, molti dei problemi che hanno portato alla crisi – e che potrebbero far sorgere future crisi, se ignorati – hanno altre origini.

Adair Turner è presidente della Financial Services Authority del Regno Unito.

Copyright: Project Syndicate, 2010.www.project-syndicate.orgTraduzione di Simona Polverino

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