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Questo articolo è stato pubblicato il 08 settembre 2010 alle ore 08:01.
MILANO
«Ma quale pomodoro cinese? E quali danni o pericoli per il prodotto made in Italy?». Annibale Pancrazio, presidente dell'Anicav (Associazione delle imprese conserviere) e vicepresidente delegato all'internazionalizzazione di Federalimentare, sugli allarmi rilanciati negli ultimi giorni da organizzazioni agricole e associazioni di consumatori non ci sta. Vuole fare chiarezza, spiegare ai consumatori cosa arriva sulle loro tavole. E rispedire al mittente «accuse strumentali, basate su populismo gratuito e dati che attaccano senza spiegazioni un pezzo dell'industria italiana». Perché se la Cina è tra i primi produttori mondiali di pomodoro, è anche vero che da quel grande mercato l'Italia importa solo concentrato: poco più di un milione di tonnellate tra il 1997 e il 2009, in base ai dati Istat, per un valore che non raggiunge i 540 milioni di euro. Cifre risibili, in un arco temporale di 13 anni. «Al di là dei quantitativi – riferisce Pancrazio – la verità è che il pomodoro concentrato da noi non si usa, gli italiani acquistano e consumano passate, pelati, polpe e pomodorini ottenuti da materia prima fresca, raccolta e lavorata nel nostro paese. Senza contare che i pelati, tecnicamente, non si possono fare con il concentrato; le passate neppure perché è vietato per legge». Dunque, di cosa stiamo parlando? «Di un derivato del pomodoro che, prima di tutto, non entra in competizione con le produzioni tipiche italiane. Anche perché i prezzi più bassi fanno sì che il concentrato venga destinato prevalentemente in Africa e in Medio Oriente. E quella minima quota che rimane nell'Unione europea si rivolge a segmenti di consumatori più sensibili al prezzo».
Qualche dubbio tuttavia resta. E i detrattori parlano di rischi di possibili contraffazioni, di prodotti spacciati anche sul mercato interno come italiani, ma che potrebbero essere miscelati con altri d'importazione. «Il concentrato di pomodoro – ricorda il presidente dell'Anicav – è una commodity che arriva nel nostro paese attraverso un regime doganale di importazione temporanea definito “traffico di perfezionamento attivo”. In pratica, la merce che arriva dalla Cina, piuttosto che dalla California o da qualunque altro paese extra-Ue, viene rilavorata in Italia e riesportata verso mercati extracomunitari».