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Questo articolo è stato pubblicato il 22 settembre 2010 alle ore 10:07.
Un'operazione gestita male, che rischia di rivelarsi «un salto nel buio» proprio in un momento in cui la stabilità è un bene essenziale. Al ministro dell'Economia Giulio Tremonti non è piaciuta l'accelerazione che ha portato alla rimozione di Alessandro Profumo, amministratore delegato della prima banca italiana, considerata il fiore all'occhiello del sistema bancario italiano sulla scena internazionale. «Se decidi di cambiare l'ad lo puoi fare, è nelle prerogative degli azionisti, ma lo devi fare in maniera appropriata, nella giusta misura, preparando la successione», avrebbe detto il ministro ieri ai suoi più stretti collaboratori.
Preoccupazione anche per il ruolo che in futuro potranno avere i soci tedeschi, nel momento in cui viene meno il riferimento di un manager italiano forte come Profumo. Certo, ci sono le fondazioni e con le fondazioni quella Lega Nord «amica» di Tremonti. Ma anche nella Lega non tutti erano a favore di una violenta accelerazione e al vertice del partito c'era chi era per una linea più attendista.
"Fare fuori" un amministratore delegato del peso di Profumo, in maniera così traumatica, ha lasciato Tremonti più che perplesso per gli effetti destabilizzanti e addirittura sistemici che l'operazione potrebbe provocare. Il ministro non si stanca di ripetere che l'Europa, e quindi anche l'Italia, si trova ancora in «terra incognita»: questo significa che la crisi non è alle spalle, che non si può abbassare la guardia. L'Italia ha retto meglio di molti altri paesi, è la tesi del ministro, che riconosce pubblicamente, come uno dei punti di forza del sistema, la solidità del sistema bancario: ma c'è ancora molto da lavorare, sta insistendo Tremonti, per rilanciare lo sviluppo e la competitività del paese, per garantire il flusso del credito alle Pmi e incoraggiarle verso la crescita dimensionale. In questa fase ancora molto delicata per l'economia, un terremoto ai vertici del sistema bancario andava evitato: togliere di mezzo Profumo con un taglio netto, lasciando la poltrona di ad vacante, è stato un modo «maldestro» di procedere.
Tremonti non nascondeva ieri un'altra preoccupazione: quella del passaggio delle deleghe di Profumo al presidente Dieter Rampl. Forse ad interim, ma fino a quando? Il peso crescente dei tedeschi ai vertici della prima banca italiana potrebbe essere visto sui mercati come una crepa dell'apparato bancario. Per il ministro, invece, per contrastare la crisi bisogna fare quadrato, stringere i ranghi, fare sistema. All'assemblea dell'Abi del 2009 Tremonti aveva annunciato alle banche «un nuovo inizio, abbiamo una responsabilità comune per il paese»: e da questo annuncio erano seguiti i fatti. L'offerta dei Tremonti-bond per sostenere la ricapitalizzazione degli istituti patrimonialmente più deboli è stata valutata a lungo, anche se poi rifiutata da Profumo: questo all'epoca provocò qualche frizione tra i due ma lo strascico delle polemiche fu temporaneo. Tremonti si è messo a lavorare fianco a fianco con tutte le grandi banche per studiare soluzioni nuove al fine di assicurare l'erogazione del credito a costi accessibili a un sistema industriale provato dalla crisi: l'appuntamento è diventato fisso, i lunedì a Milano il ministro incontra i vertici delle grandi banche. Il feeling tra Tremonti e Profumo si è rafforzato con il passare del tempo: Unicredit partecipa alla creazione del primo fondo pubblico-privato di private equity mirato alla ricapitalizzazione e aggregazione delle Pim, con la sua «enorme leva finanziaria». Unicredit è stata la prima tra le grandi banche ad aggiudicarsi una grossa fetta degli 8 miliardi messi a disposizione dalla Cassa depositi e prestiti, a tassi competitivi, per sostenere l'internazionalizzazione delle Pim. E non da ultimo, Profumo ha dato l'ok alla cessione del Mediocredito centrale (con licenza bancaria piena) a Poste e Iccrea per velocizzare il lancio della Banca del Mezzogiorno, un progetto al quale Tremonti tiene particolarmente