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Economia Aziende

No delle imprese lombarde al piano sugli incentivi

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Questo articolo è stato pubblicato il 24 settembre 2010 alle ore 08:01.


MILANO
«Nessuno mette in dubbio la buona fede di chi ha formulato la proposta, ma nella realtà ha un sapore demagogico, anacronistico, e rischia di produrre effetti opposti alle aspettative e agli obiettivi di chi l'ha presentata. Va semplicemente ritirata». Non usa mezzi termini Alberto Barcella, presidente di Confindustria Lombardia dopo l'emendamento approvato ieri in commissione Bilancio della Regione alla bozza del piano regionale di sviluppo che prevede disincentivi «fino alla revoca dei contributi» per le imprese che trasferiscono fuori dal «territorio lombardo» le attività produttive.
Barcella, che si rivolgerà per vie ufficiali al governatore Roberto Formigoni, agli assessori, ai partiti e ai presidenti delle commissioni, insiste su un concetto: «Non confondiamo la delocalizzazione con l'internazionalizzazione produttiva, che non è una fuga ma spesso la via maestra per acquisire quote di mercato». Il testo del piano regionale di sviluppo martedì sarà all'esame del consiglio per l'approvazione definitiva e stabilisce un principio che dovrà essere inserito nei prossimi bandi di finanziamenti alle imprese. È stato approvato con i voti favorevoli del Partito democratico e, come sostiene il capogruppo Pd, Luca Gaffuri, «serve a tutelare l'occupazione ma anche a non disperdere le poche risorse che la finanziaria ci lascerà a disposizione». Va «rafforzato perché non resti una scatola vuota, come capita spesso alle proposte della Lega, per non ingessare completamente le erogazioni. Pensiamo a una fidejussione per aiuti superiori ai 100mila euro». Il presidente della commissione Bilancio, il leghista Fabrizio Cecchetti, dopo il voto aveva parlato di un «provvedimento importante che rafforza e protegge il sistema produttivo lombardo e i suoi lavoratori. Non ci saranno deroghe per chi porta all'estero impianti e produzione, lasciando i nostri lavoratori per strada».
Barcella però non condivide e afferma che «i casi in cui la delocalizzazione è una fuga sono rari, soprattutto tra le imprese lombarde che delocalizzano attività produttive all'estero soprattutto per internazionalizzarsi e acquisire nuove quote di mercato. Anche perché andare all'estero per un'azienda non è una decisione facile». Non solo. «In alcuni casi certe produzioni non sono più sostenibili per la concorrenza internazionale e l'alternativa alla delocalizzazione è la chiusura dell'azienda. Trasferire all'estero queste produzioni consente di mantenere viva l'azienda madre in Italia, con la sua capacità decisionale e le attività a maggiore valore aggiunto. Fare di tutte le erbe un fascio può distruggere ricchezza, oltre che diventare un disincentivo a investire in Lombardia». Anche perché, così come è formulato, nota Barcella, «considera delocalizzazione anche l'investimento in un'altra regione italiana».

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Tags Correlati: Bilancio | Confindustria | Esuberi e licenziamenti | Fabrizio Cecchetti | Italia | Lega | Luca Gaffuri | Massimo Giordano | Pd | Roberto Formigoni

 

Un precedente che può essere assimilato all'iniziativa lombarda esiste in Piemonte dove il piano straordinario per l'occupazione, spiega l'assessore allo Sviluppo economico, Massimo Giordano, «vincola gli aiuti alle aziende all'obbligo di mantenere l'investimento in Piemonte per almento sette anni, per contrastare così la delocalizzazione».
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