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Questo articolo è stato pubblicato il 27 settembre 2010 alle ore 16:39.
Scelte ponderate sulle nuove tecnologie, supporto pubblico (ad esempio sul fisco) e regole eque nel confronto con i competitor emergenti. L'industria automobilistica italiana stila il suo programma per rivedere la competitività, senza nascondere che la congiuntura resta ancora molto negativa. Eugenio Razelli, presidente dell'Anfia, inaugura l'assemblea annuale con stime che almeno per quest'anno non fanno ben sperare: «Il 2010 – sottolinea – calerà con una diminuzione significativa delle immatricolazioni pari 11,4% rispetto al 2009 e si dovrebbe attestare intorno a 1,91 milioni di unità, molto sotto la media degli ultimi dieci anni, pari a 2,25 milioni di unità l'anno. Nel 2009 le immatricolazioni erano state pari a 2,159 milioni, -0,1% rispetto al 2008».
L'Italia è in un certo senso solo una goccia nell'oceano europeo che paga lo spostamento del baricentro del mondo in termini produttivi. Basti considerare che, tra il 2000 e il 2009, a fronte di volumi di produzione quasi stabili, il peso dei paesi emergenti è passato dal 18 al 44%, quello europeo dal 35 al 28%, quello degli Usa dal 20 al 15 per cento.
Come raddrizzare il timone? I problemi di sovraccapacità produttiva, più volte illustrati in questi ultimi mesi anche da Marchionne, sono diventati ormai di dominio pubblico. Ma, incalza Razelli, non si possono trascurare altri elementi a portata dei singoli governi e dell'Unione europea. L'Anfia torna sull'argomento del fisco, ricordando gli oltre 67 miliardi di euro rappresentati dall'auto in termini di entrate fiscali: in rapporto al Pil l'incidenza più alta tra i paesi europei. «In quest'ottica – avverte Razelli – è fondamentale che il federalismo fiscale non comporti ulteriori aggravi o complicazioni del sistema». Tra le proposte anche quella di reinvestire nel settore almeno parte dell'Ipt (imposta provinciale di trascrizione).
Ma di più, continua il presidente Anfia, si può fare anche a livello europeo sulle tecnologie emergenti. Evitando ad esempio di scommettere tutto sull'auto elettrica, che ha ancora costi elevati e prospettive incerte, e valorizzando gli investimenti fatti in questi anni su alimentazioni alternative come il metano. Inevitabile, alla fine, anche un accenno all'accordo di libero scambio con la Corea del Sud, posticipato anche grazie all'intervento del governo italiano ma giudicato ancora sfavorevole. Razelli non usa giri di parole: «Riteniamo che l'Ue debba rivedere la sua politica commerciale, che fino a oggi si è concretizzata in concessioni troppo spesso ingiustificate ai nostri partner commerciali».