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Economia Aziende

Un ritratto di Ezio Foppa Pedretti. Quell'incontro con Silvio che cambiò quasi tutto

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Questo articolo è stato pubblicato il 28 settembre 2010 alle ore 18:12.

Pubblichiamo alcune pagine del libro edito dal Sole 24 Ore "PRIMI IN ECONOMIA. Incontri ravvicinati con 41 imprenditori a prova di crisi" dedicate a Ezio Foppa Pedretti.
Nel 2004 l'autore, il giornalista Mario Castelli, ha intervistato l'imprenditore morto a Bergamo lunedì notte, creatore dell'Albero delle idee.

Creativo, quel ragazzino che la zia Maria aveva battezzato per la sua irrequietezza grè de pier, granello di pepe, lo era sempre stato. Sin da quando, a sei o sette anni, si appartava in soffitta per inventarsi dei sorprendenti carrettini, con tanto di ruote ricavate dai tutoli delle pannocchie di granturco. E che il nonno paterno Paolo, un falegname vecchio stile che costruiva di tutto un po', dai carri agricoli ai mobili per la casa e alle casse da imballo, conservava come reliquie.

«D'altra parte la mia è stata un'infanzia segnata dalle frequenti incursioni nella fabbrica di manici per ombrelli dello zio Pierino, nella quale era andato a lavorare anche papà, dove a tenere banco erano ovviamente i trucioli e il profumo del legno. E proprio lì il legno mi sarebbe entrato nel sangue diventando una ragione di vita».

Racconta e quasi si commuove Ezio Foppa Pedretti, dalla cui inventiva sarebbe nata e cresciuta la Foppapedretti Spa, un marchio che si è nutrito del suo "albero delle idee" e che oggi si propone come uno dei più conosciuti a livello nazionale. Frutto intrigante di una tipica storia di provincia e di un geniale imprenditore che, un bel giorno (era il 1996), ha saputo dire basta al suo ruolo di padre padrone («Ma quanto ho sofferto, benché la ritenessi la scelta giusta») per lasciare spazio ai quattro figli «che voleva responsabilizzare e coinvolgere» – Pinangela attiva nel marketing e nelle vendite, Enrica cui fa capo l'amministrazione, Anna responsabile degli acquisti e Luigi, laureando e in via di arruolamento – nonché ai tre generi (Luciano Bonetti, amministratore delegato; Claudio Cattozzo, punti vendita; Clemente Preda, programmazione). E a questa famiglia allargata è andata la nuda proprietà nonché il 50% «dell'azienda di gestione».

Deleghe a parte, il presidente («Sa, nonostante l'età, non ho nemmeno uno straccio di pensione visto che ai dirigenti aziendali non spetta ») rappresenta ancora, inutile dirlo, il punto di riferimento per tutti.

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Tags Correlati: Bianca Brevi | Bolgare | Borsa Valori | Brasile | Canale 5 | Carlo Azelio Ciampi | Ezio Foppa Pedretti | Foppapedretti Spa | Francesca Piccinini | Istituto tecnico industriale | Management | Mario Castelli | Milano | Rinascente-Upim | San Marco | Sarnico | Sebino | Seriate | Silvio Berlusconi | Telgate

 

Perché alle sette e mezzo del mattino è già in azienda, pronto a seguire il personale, a controllare gli standard di qualità (gli basta un'occhiata o una strusciata di mano per capire se c'è qualcosa che non va), a prendere nota degli articoli prodotti, ma anche a seguire i complessi lavori legati ai nuovi impianti e alle nuove costruzioni.

«Il mio ruolo? Una specie di direttore di cantiere. Mica roba da ridere. Non le dico quanto ho dovuto correre per star dietro alla realizzazione dell'ultimo stabilimento, il quarto della serie, battezzato Foppapedretti Technology e inaugurato due anni fa a Bolgare a fronte di un investimento sui 16 milioni di euro. Con risultati davvero sorprendenti».


In effetti si tratta di un centro produttivo all'avanguardia, senza polveri di sorta nell'aria (e tutti sanno quante il legno ne produca), dal momento che risultano aspirate "al chiuso" in sede di lavorazione. A loro volta gli scarti rappresentano materia prima per il riscaldamento invernale, mentre vengono ridotti ai minimi termini d'estate, in altre parole pressati, per essere poi stoccati. Senza dimenticare le invoglianti esposizioni dei prodotti, la sala convegni superattrezzata, ma anche la reception che si propone in pompa magna per i clienti più importanti. Insomma, a tener banco è l'immagine, a cominciare dai messaggi visivi che vengono inviati agli automobilisti che percorrono – vista la localizzazione proprio a ridosso dell'autostrada – la trafficata Milano-Venezia.

E sulla stessa autostrada, ma questa volta siamo nel Comune di Grumello del Monte, sempre in provincia di Bergamo, si affaccia il quartier generale dove risultano operativi un secondo centro produttivo, il magazzino e l'ufficio tecnico (composto da quattro falegnami, un meccanico, sei addetti alla progettazione al computer e un ingegnerizzatore), che stanno per essere affiancati, in un capannone di ottomila metri quadrati, da ulteriori linee di vendita nonché dalla nuova Plastikopolis, attualmente operativa a Osio Sotto, che verrà presto trasferita e ampliata per averla sottomano. «Purtroppo – ammette a malincuore il commendatore, che per tutti in azienda è soltanto il signor Ezio – alla plastica ci siamo dovuti inchinare a causa della sua dilagante forza di mercato. Così negli ultimi tempi, sia pure con parsimonia, abbiamo iniziato ad abbinarla, in parallelo all'utilizzo dei metalli, alla linea bambino. Anche se, chissà perché, le belle idee continuano a venirci sempre dal legno...».

Ma c'è dell'altro nel carnet della casa, a cominciare dal rilancio del marchio Reguitti che, acquistato e messo in cassaforte nel 1996, sarà riproposto sul mercato il prossimo anno – «dal momento che con un marchio solo non si possono coprire tutte le aree di mercato» – una volta concluso il «lavoro di pulizia» per eliminare i rami secchi nel campo delle vendite (ad esempio le promozioni con le grandi catene). Una operatività che sarà inoltre allargata, decisamente a più lunga scadenza, al settore dei mobili da bagno, alle cucine e ai salotti. Che si aggiungeranno ai tre filoni oggi in essere: bambino (camerette, lettini, seggioloni, giocattoli, culle, carrozzine), casalingo (mobili e complementi d'arredo) e giardino (sedie, tavole, dondoli, barbecue).

Tutte queste operazioni saranno gestite da Bonetti, la cui funzione è quella di uomo guida e macchina pensante. Tanto che il presidente («Ci stimiamo, anche se poi discutiamo, battagliamo e ci confrontiamo, ma solo per il bene dell'azienda») riesce a fatica a tenerlo a freno. «Luciano, gli dico spesso, rallenta. E poi è troppa questa pubblicità, visto che in quasi tutte le famiglie c'è già qualcosa di nostro. Ma lui niente. Via a testa bassa a inventarsi una novità dopo l'altra, realizzando prodotti sempre più innovativi e che stanno in poco spazio. Prodotti che non fanno certo rimpiangere ai nostri clienti i soldi spesi».


Già, Bonetti. Quasi un figlio per il presidente. Lui che era entrato in azienda nel 1976, forte di una laurea in ingegneria, come responsabile della produzione. E già due anni dopo si era guadagnata una ricca partecipazione.

«Perché non mi sentivo più in grado – ammette esagerando il signor Ezio – di gestire da solo lo sviluppo aziendale. Così – e questa volta minimizza – mi limitai a riciclarmi, inventandomi il ruolo di garante nei confronti dei miei figli». Decisione peraltro azzeccata, con l'azienda via via a scalare nuove quote di mercato. Grazie anche a un deciso voltar di pagina. Ad esempio in quel periodo il simbolo della Foppapedretti era rappresentato da un pezzo di legno, abbinato allo slogan «L'industria artigiana del legno massiccio», inventato da una agenzia della democrazia cristiana bergamasca. Ma era poca cosa, a pensarci bene.


«Ben presto ritenni però – sono parole di Luciano – che l'albero riassumesse meglio il nostro mestiere e le nostre idee. Inizialmente ero propenso a puntare sullo slogan "Le radici dell'albero", poi venne invece fuori "L'albero delle idee" che ancora oggi tiene banco. In parallelo unimmo in una sola parola i due cognomi, dapprima (era il 1979) evidenziati con due caratteri diversi e poi due anni dopo senza distinzioni di sorta. E per lanciare marchio e slogan spendemmo parecchio, ma ne valse la pena».


Al riguardo i due numeri uno di casa Foppapedretti tengono a sottolineare come il successo aziendale sia stato anche legato a un incontro con il futuro presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Così ricordano: «Nel 1981, presso l'hotel Excelsior San Marco di Bergamo, dove il cavaliere – che in quel periodo viaggiava l'Italia in pullman per far conoscere i suoi progetti per il piccolo schermo – incontrò un gruppo di imprenditori locali e tratteggiò per filo e per segno il futuro della televisione, senza sbagliare di una virgola. In questo contesto ci propose di far pubblicità con lui, che era partito da Telemilano per poi arrivare a Canale 5, offrendoci interessanti condizioni di pagamento: in contanti a prezzi onesti o sulla base dei risultati ottenuti in seguito agli spot. Noi scegliemmo il contante. Sta di fatto che, dopo aver speso 60 milioni di lire sui giornali senza guadagnarci niente, ne investimmo altrettanti puntando sulla sua televisione e nel giro di due anni raddoppiammo il fatturato. Va ricordato che non fummo i soli in quel periodo ad apparire su Canale 5 e a sfondare sul mercato».
Insomma, l'azienda investiva ieri come lo fa ancora oggi. «Non a caso in questi ultimi tempi abbiamo speso in comunicazione l'equivalente del 13-14% del nostro fatturato. Un giro d'affari che quest'anno si dovrebbe attestare sui 78 milioni di euro, un 4% in più rispetto alla cifra messa in bilancio lo scorso esercizio».

Gran bella azienda comunque, la Foppapedretti, attiva su 36.000 metri quadrati di superfici coperte a fronte di 104 ettari di terreno edificabile.
Un'azienda che dà lavoro a 250 dipendenti più altrettanti operativi nell'indotto («Ma tutte le nostre produzioni risultano frutto di artigiani made in Italy»), che gestisce otto negozi di proprietà ed è presente in altri tremila, mentre l'export risulta attestato sull'11% in una quindicina di Paesi. «Poca cosa, ma per allargarci sull'estero dobbiamo trovare partner che capiscano la nostra filosofia. Lo stiamo facendo, ma senza alcuna fretta».

E per quanto riguarda gli utili? Da bravi bergamaschi meno ne parlano e meglio stanno, anche se ci sono, eccome se ci sono. Basti pensare allo scarso interesse dimostrato per la Borsa: «In effetti ci avevamo pensato, ma non eravamo pronti a digerirla, visto che non so quanti azionisti sarebbero stati disposti ad accettare investimenti a tre anni come quelli che abbiamo messo in campo. Tuttavia non è detto che alla prima occasione buona...».

Un passo indietro. Ezio Foppa Pedretti nasce il 3 giugno 1927 a Telgate, un paese del Bergamasco che, ironia della sorte, dista sì e no tre cento metri dal quartier generale di Grumello («In effetti la mia vita si è tutta sviluppata fra Telgate, Grumello e Bolgare, tre comuni a stretto contatto di gomito»). Era una zona agricola, dove a tenere banco erano soltanto due aziende: «uno scatolificio e la fabbrichetta dello zio Pierino, dove lavorava mio padre Luigi e in seguito sarebbe entrato anche mio fratello Tito. Ma della mia famiglia facevano parte anche il primogenito Giuseppe, morto prematuramente in guerra, e Letizia, la più giovane, che non si sarebbe sposata e avrebbe lasciato questo mondo sul posto di lavoro nel 1975. A sua volta mia madre, Matilde Magni, insegnava alle elementari».

A Ezio piace studiare. Così, ultimate le elementari, frequenta una scuola professionale nel vicino paese di Palazzolo sull'Oglio, che raggiungeva in bicicletta a dispetto di neve e pioggia, e quindi si trasferisce a Bergamo dove viene iscritto al corso della classe preparatoria all'Istituto tecnico industriale, che in seguito avrebbe frequentato con profitto. «Finiti gli studi, quando avevo 17 anni, venni mandato a lavorare presso le officine meccaniche Fervet di Seriate. Ma nei miei sogni il metallo non trovava posto. Così, approfittando di un bombardamento su Dalmine (ero andato a vedere quel cumulo di rovine e di morte e ne ero rimasto impressionato) convinsi mia madre a farmi stare a casa dopo appena un mese dall'assunzione. E alla sua domanda su cosa avrei fatto, restai volutamente sul vago».

Spirito libero, il giovanotto inizia a frequentare di sera la fabbrica dello zio Pierino, che gli consente di usare le sue macchine, e si mette a creare dei piccoli giocattoli: trenini, carriole, camioncini, ma anche mobili in miniatura, aiutato nel lavoro di rifinitura dai fratelli, dai cugini e da alcuni amici. «In effetti riproducevo in scala quello che osservavo nella vita di tutti i giorni. Il primo ad acquistare i miei lavori fu il fruttivendolo del paese. In seguito mi misi a battere con un banchettino i mercati di Sarnico, Palazzolo e Palosco, seguiti dai negozi di Bergamo. A un certo punto mio zio mi segnalò che presso il colorificio Sebino, a Sarnico, c'erano delle piccole macchine per lavorare il legno che potevano risultarmi utili: una sega a nastro, una pialla a filo e una a spessore, una toupie e un piccolo trapano».

Al futuro commendatore pare di toccare il cielo con un dito. Ma servono 150.000 lire, troppe per il bilancio familiare. Fortunatamente la mamma mette a disposizione anche i suoi risparmi e le macchine vengono acquistate e alloggiate in un locale della casa natale cui si accedeva dal cortile, e dove tuttora abita, visto che i capannoni dove aveva iniziato Pierino erano occupati da un ombrellificio. Nasce così alla fine del 1945, in tandem con Tito («Sarebbe morto nel 2000 lasciando tutto, lui che non si era sposato, ai miei figli»), la "Fabbrica giocattoli fratelli Foppa Pedretti". Ma ai giocattoli ben presto si sarebbero aggregati i "cestini", la clientela si sarebbe allargata e sarebbero stati assunti alcuni dipendenti, ragazzi che arrivavano freschi freschi dalle scuole professionali e «subito messi in regola». In parallelo viene stampato anche un primo catalogo fotografico.

Intanto si produce anche dell'altro, come le "spade", aste flessibili in legno di acacia per una tessitura locale, o addirittura prodotti per la caccia, decorati e intarsiati con piccoli specchi, che servivano come richiami per le allodole. In questo periodo il reparto verniciatura e il controllo degli articoli finiti viene affidato alla sorella Letizia, perché Ezio ci tiene alla perfezione, mentre la mamma si occupa della contabilità e dell'amministrazione.
Insomma, le cose vanno bene, tanto che il padre Luigi si licenzia dal fratello e porta nella nuova fabbrica la sua esperienza nella gestione delle macchine.

Dopo qualche tempo il titolare dell'ombrellificio lascia liberi i capannoni ed Ezio può utilizzarne uno, mentre l'altro viene affittato a un bottonificio, che sarà a sua volta cooptato a contratto finito. A questo punto la ditta («Si lavorava tutti i giorni, compresa mezza domenica nonostante le rimostranze del prete») ha imboccato la strada giusta per diventare una interessante realtà industriale. Siamo nel 1950, ed è l'anno dell'incontro con Bianca Brevi, una ragazza che era però stata per diverso tempo, ospite di parenti, lontana dal paese. E lui l'avrebbe sposata soltanto nel 1955 «perché il tempo non bastava mai» e sarebbe diventata per trentacinque anni la sua «insostituibile compagna di viaggio », nonché preziosa collaboratrice.

Nel 1952 Ezio debutta negli articoli dedicati alla prima infanzia, a cominciare dai seggioloni pieghevoli.Poi nel 1955 fa il suo ingresso in Rinascente-Upim dalla porta, per così dire, di servizio. «Arrivai a Milano con la mia valigetta e chiesi al portiere di poter incontrare il direttore generale. Mi rise in faccia. Ma quando gli tirai fuori i miei giocattoli si rese conto che non scherzavo e mi diede una mano per l'incontro, che risultò fruttuoso, tanto che dopo qualche anno questo colosso della grande distribuzione ci ritirava il 30% della produzione».

Nel 1956 fu la volta di un piccolo spazio alla Fiera campionaria di Milano, e fu come una consacrazione. A questo punto i dipendenti si sarebbero moltiplicati alla stregua dei prodotti (come i lettini, i box o la scrivania "Dello studente", seguiti dai tavoli, dalle poltroncine, dalla sedie e via dicendo), tanto che nel 1981 si dovette realizzare il nuovo stabilimento di viale Papa Giovanni a fronte di 120 operai a busta paga. Un passo importante dopo che a ridosso del 1970 si erano dovute superare alcune difficoltà legate da un lato al sorprendente sviluppo e, dall'altro, soprattutto alle tensioni che sarebbero sfociate, sotto la spinta delle confederazioni sindacali, nell'occupazione di tre giorni dell'azienda.

Un colpo accusato duramente dal presidente («I dipendenti li avevo sempre trattati come gente di famiglia») che si tradusse in un pesante esaurimento e nel ricovero obbligato nel reparto neurologico dell'ospedale di Bergamo. Ma anche questa buriana sarebbe stata ben presto superata.

***

Per Ezio Foppa Pedretti, un uomo «negato per la meccanica e tutto casa, famiglia, lavoro e parrocchia», l'unico svago è quello di andare a tifare in città (leggi Bergamo) per la squadra femminile di pallavolo che porta il nome della sua azienda e che ha scalato alti indici di notorietà.

«L'abbiamo rilevata nel 1992 quando militava in serie B2 e in soli quattro anni si è guadagnata l'A1, collezionando una serie impressionante di titoli, fra cui cinque scudetti, quattro Coppe Italia, tre Supercoppe e due Coppe dei campioni. Trofei che fanno bella mostra in azienda. Il costo non è da poco – 1,4 milioni di euro all'anno – ma il ritorno di immagine, visto che la pallavolo femminile è più seguita di quella maschile, forse perché a scendere in campo sono belle ragazze che sanno anche giocare, risulta di notevole impatto sia a livello nazionale che internazionale ».

E forse mai il marchio Foppapedretti è stato sulla cresta dell'onda come in questo periodo, complice il calendario sexy cui si è concessa quella bellona che va sotto il nome di Francesca Piccinini, ma anche l'altro, tenerissimo, che l'intera squadra ha voluto dedicare ai bambini nati di soli seicento grammi e il cui ricavato è destinato all'ospedale di Seriate, dove risulta già attivo un efficiente reparto prematuri. Insomma, casa e bottega si diceva. Perché al signor Ezio, gira e rigira, non si riesce a tirar fuori nulla che non sia il suo amore per il legno («Usiamo soltanto i migliori, come quelli di faggio, robinia, il robustissimo iroko, nonché il multistrato di abete o il truciolato assemblato con colle termoindurenti resistentissime»), ma anche il rapporto speciale con l'ambiente perché l'uomo è una macchina inquinante che però produce lavoro.

«Sono poche le energie riproducibili – tiene a precisare il presidente – e il legno è una di queste. In tale ottica, a parte il no ai solventi e il sì all'utilizzo di vernici ad acqua, finanziamo in abbinata ad altri imprenditori della zona un missionario bergamasco, padre Pansa, che si batte contro la deforestazione in Brasile e dove ha già ridato vita, regalando un lavoro e una speranza agli indios dell'Amazzonia, a una foresta più estesa della nostra provincia».

Fermo restando il fatto che l'azienda, «frutto di una continua rincorsa alle novità nel solco delle tradizioni», è la cosa «che gli è riuscita meglio dopo i suoi figli». E la cui storia ha voluto ripercorrere in un libro che non ha firmato, ma che ha scritto alzandosi alle cinque del mattino per arricchirlo soltanto di ricordi vissuti. E non certo andando a scavare in un lontano passato, come quando nel Settecento due famiglie, la Foppa originaria di Milano e la Pedretti, attiva nel tessile in quel di Bologna, si unirono per gentile concessione dei maggiorenti dell'epoca.

Ma anche glissando, lui imprenditore semplice e schivo, sull'onore inaspettato che gli è stato riservato nel corso di una recente visita del presidente della Repubblica Carlo Azelio Ciampi a Bergamo e di cui fa fede una foto nel suo ufficio. «Confesso che non mi aspettavo quell'invito in prefettura, riservato ad appena ventiquattro esponenti del mondo economico locale. Non nascondo che si è trattato di una grande emozione...».

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