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Questo articolo è stato pubblicato il 30 settembre 2010 alle ore 08:01.
«Banche e imprese devono lavorare in una logica di partenariato. Per Confindustria l'interesse è avere imprese forti, per le banche avere clienti e quindi imprese forti». Per arrivare a condividere realmente questo obiettivo però, «c'è una questione duale nel paese che va risolta. E questa volta non riguarda la geografia: è trasversale», ha osservato Vincenzo Boccia, vicepresidente e presidente della piccola industria di Confindustria ieri al convegno "La finanza per le imprese" nella sede del Sole 24 Ore.
In Italia è necessario «un salto di qualità dal saper fare bene un prodotto al saper fare bene l'imprenditore – spiega Boccia –. Per fare il passaggio, o si è eccellenti in tutte le funzioni aziendali, anche la finanza quindi, oppure la partita è persa». In questa fase in cui Basilea 3 sta segnando uno spartiacque per Pmi e banche, Boccia parla delle nuove regole come di «uno strumento troppo pro-ciclico in una fase in cui servirebbero invece strumenti anti-ciclici».
Mauro Costa, amministratore delegato di Banca Arner, aggiunge che «per le Pmi è una minaccia» perché «i nuovi criteri costringono le banche a fare accantonamenti più alti». L'impatto sulle imprese e sul loro rafforzamento patrimoniale chiede una reazione forte, a partire da ora. «Come banca Arner noi siamo i primi a voler alleviare la solitudine del piccolo imprenditore che va aiutato nella relazione sempre più impersonale con il sistema bancario prodotta dalle nuove regole», continua Costa. Paolo Casiraghi, consigliere di Banca Arner osserva, per esempio, che deve esserci un nuovo approccio al patrimonio: «Ci sono dei patrimoni privati che non sono correlati con quello dell'azienda e che possono essere costituiti sia da immobili che da liquidità – osserva il manager –. È anche su questi che devono essere costruiti i piani per l'accesso al credito». I piani industriali «spesso peccano e devono essere rimessi in linea perché gli aspetti tecnici introdotti da Basilea 3 sono molto più demanding e le imprese non sembrano essere organizzate», aggiunge Costa. Il punto fondamentale è capire «come le banche leggono le imprese – dice Casiraghi –. In genere prendono in considerazione un dato sopra tutti gli altri e cioè l'indice di fallimento. Ma non si può tradurre l'imprenditore e la sua azienda solo in questo numero. Noi cerchiamo di costruire un piano considerando tutto il patrimonio, in modo tale che emerga un fattore di rischio chiaro».