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Questo articolo è stato pubblicato il 01 ottobre 2010 alle ore 10:51.
Indicatori reali
L'unione fa la forza. Anche nel ciclo economico, per quanto anomalo per intensità e devianze dal trend qual è l'attuale. Così l'economia globale trae maggior vigore dal fatto che si sono aggiunti al gruppo in fuga delle economie emergenti i paesi industrializzati, seppur in tempi e ordine sparsi. Partita dall'Asia (Cindia) e dal Brasile, la ripresa si è trasmessa al Giappone - in presa più diretta grazie ai legami commerciali stretti con le economie asiatiche -, agli Stati Uniti - capaci di rapidi aggiustamenti e sostenuti da politiche espansive "temerarie" - e infine all'area euro, dove svetta la Germania e l'Italia si è accodata.
La sequenza positiva è resa al meglio dall'andamento del Pmi nel manifatturiero, cioè il settore che ha patito le cadute più profonde durante la recessione e che sta rimbalzando ora con più rapidità. In Cina era tornato sopra la soglia che indica espansione già a marzo 2009, in Usa ad agosto, in Germania a settembre in Italia a novembre. Anche il suo livello è segnaletico dell'accelerazione: negli Stati Uniti è giunto in aprile ai massimi dal luglio 2004, in Germania ha fatto un balzo all'inizio di quest'anno che l'ha portato al picco dal 1996 (e quello del l'intera eurozona dal 2000), in Italia è al top dal maggio 2007. Tuttavia, questa catena positiva rischia di essere spezzata in Europa dagli anticipati aggiustamenti dei bilanci pubblici imposti dall'eurocrisi. Le nuove forti cadute di borse ed euro rispecchiano i timori di peggioramento delle prospettive.
La radiografia della locomotiva number one, cioè gli Stati Uniti, rivela che la ripresa è con occupazione (559mila posti creati negli ultimi tre mesi).
I consumi danno un contributo decisivo, ma non sostenibile agli attuali ritmi (4,5% annualizzato) neppure se la job-machine tornasse a girare a pieno vapore. Peraltro, la spesa delle famiglie è in forte aumento a livello mondiale: è risalita nel primo trimestre di quest'anno sopra i valori pre-crisi: +131 miliardi di dollari a prezzi costanti rispetto a due anni prima.
Finora, in Eurolandia la fiducia ha resistito ai colpi delle tensioni scatenate dalla crisi greca. Anche perché il rilancio globale fa da argine alle difficoltà del Vecchio continente. Un quadro ben diverso dal quello post fallimento di Lehman Brothers. Allora, l'economia era già in recessione e il panico non trovò resistenze. Oggi, all'opposto, le forze reali si sono rimesse in marcia, anche se i livelli di attività restano bassi, i tempi di recupero lunghi e la disoccupazione elevata (e ciò frenerà i consumi nell'area). Così, la tempesta sui titoli sovrani ha avuto meno capacità di presa. Il giusto mix di politiche di bilancio restrittive e riforme pro-crescita può evitare ricadute recessive.