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Questo articolo è stato pubblicato il 01 ottobre 2010 alle ore 10:02.
La vicenda greca ha avuto almeno il merito di restituire al mercato quei poteri di sanzione che si pensavano perduti con l'"ammucchiata" dell'euro. Ai tempi della creazione della moneta unica una delle critiche stava nel fatto che l'euro avrebbe funzionato anche troppo bene: al riparo di una grande moneta i paesi devianti (allora si pensava soprattutto all'Italia) non sarebbero stati puniti con crisi valutarie o con pesanti aumenti dei tassi; gli sconfinamenti del bilancio o della bilancia sarebbero stati spazzati sotto il folto tappeto della moneta unica.
Nel caso greco, invece, si è scoperto che il mercato conserva un potere sanzionatorio: anche se la crisi valutaria non c'è stata né ci poteva essere (a parte le amabili sciocchezze di coloro che pensavano che la devianza greca avrebbe portato alla fine dell'avventura dell'euro) c'è stata una pesante divaricazione fra i tassi pagati sui titoli greci e su quelli tedeschi. Una divaricazione che ha costretto i potenti della terra (beh, dell'Eurozona) a correre ai ripari, stabilendo così anche un utile precedente per affrontare crisi di questo tipo. Ma l'euro non si è indebolito egualmente?
Sì, ma questo sottoprodotto della crisi greca non è stato né grave né inutile. Si è trattato di una correzione limitata: basti pensare che l'anno scorso l'euro era sceso fino a 1,25 contro dollaro, senza che ci fosse nessun problema ellenico e solo in dipendenza di una crisi economica che favoriva il dollaro come moneta-rifugio. E non si è trattato di una correzione inutile; anzi, in una fase di questa faticosa ripresa che vede la congiuntura americana più vivace di quella europea, il vantaggio dato agli esportatori europei da questo limitato deprezzamento è in linea con i differenziali di crescita e gli auspici dei produttori.
A che punto è il cambio dell'euro? Per giudicarne l'adeguatezza o meno ci sono due vie: o il confronto con i cosidetti "cambi di equilibrio", da quelli rozzi basati sul ‘Big Mac' a quelli basati su un confronto più allargato delle parità di potere d'acquisto, o a quelli più sofisticati basati su modelli che tengono conto di diverse variabili finanziarie e reali. Ma nessuno di questi ‘cambi d'equilibrio' è veramente soddisfacente, e, in presenza di tante incertezze, la soluzione meno controversa è quella di confrontare il livello attuale con una media di lungo periodo. È quello che si è fatto nel grafico, dove il cambio reale dell'euro è messo a confronto (sia nella versione bilaterale col dollaro, sia in quella multilaterale che copre circa 50 paesi partner) con la media di tre lustri. Il livello attuale è vicino a questa media e anzi, avrebbe ancora spazio per indebolirsi se si vuole adagiare sulla media stessa.