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Economia Aziende

La manifattura chiede riforme

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Questo articolo è stato pubblicato il 07 ottobre 2010 alle ore 08:05.


Ci tengono a far sapere che nella loro iniziativa non c'è aria di secessione e nemmeno sentore di carboneria. Però hanno bisogno di farsi sentire e spiegare con toni pacati - ma decisi - che va bene l'industria manifatturiera di qualità, quella che la crisi non l'ha spezzata ma solo piegata, che si è proposta come àncora di resistenza, stabilità e occupazione. Ma adesso è venuto il momento di fare qualcosa, a livello nazionale, europeo, per creare le basi di una politica industriale che permetta alle nostre imprese di accrescere la competitività. L'Italia è un paese manifatturiero come pochi altri al mondo. E tale vuole restare. C'è tanta gente orgogliosa di non aver (ancora) delocalizzato e che rincorre ordini e contratti negli angoli più remoti del globo. Probabilmente se non fosse stato per la crisi, i manifatturieri italiani - una decina di associazioni che va dai produttori di macchinari per l'agricoltura alla ceramica all'industria della carta, dai fornitori di macchine e materiali per fonderie alle stesse fonderie, ai campioni delle macchine utensili, ai siderurgici, alla meccanica - non avrebbe sentito il bisogno di trasformare le tante voci dell'insoddisfazione in un coro capace di sintetizzare i problemi comuni in un manifesto della manifattura. Il Sole 24 Ore li ha incontrati alla riunione preparatoria dell'evento di oggi alla Fiera di Milano, "La Manifattura Made in Italy per una politica industriale europea".
Sandro Bonomi, presidente di Anima, crede molto alla possibilità di una politica industriale europea, un po' meno a livello italiano, «dove resiste un'Irap che influisce in maniera pesante sul costo finale per le imprese». Ma saluta con favore compiuto dalla commissione dell'europarlamento sull'etichettatura obbligatoria dei prodotti extra-Ue, forma embrionale di un vero proprio "made in Europe" che ha per fortuna incluso la tutela di prodotti «ad alto contenuto di tecnologia e manifattura, come le valvole». Costo dell'energia, costo del lavoro, burocrazia, incertezza normativa legata agli incentivi fiscali, opere infrastrutturali che procedono a rilento, il solito confronto con i concorrenti diretti, Francia e Germania, dove le leggi sembrano essere più a misura d'impresa e dove il mix energetico è decisamente più favorevole. Sono questi i temi affrontati dalle associazioni. Il solito cahier de doléance? Non solo. Ci sono anche le proposte a nome di un gruppo di associazioni che dà lavoro a 575mila addetti e che nel 2009 ha generato 137 miliardi di fatturato.

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Tags Correlati: Anima | Congiuntura | Emilio Mussini | Europe | Fabrizio Carmagnini | Federacciai | Francesco Savelli | Francia | Guai | Milano | Paolo Culicchi | Piero Starita | Sandro Bonomi | Stati Uniti d'America | Unacom | V.pres. Confindustria

 

Al primo posto l'energia, un po' per la delusione di un nucleare promesso e il cui orizzonte temporale resta incerto, un po' perché il confronto con il costo medio europeo e con la solita Francia è impietoso: rispettivamente il 30 e il 50% in più. Secondo Giuseppe Pasini, presidente di Federacciai, l'Italia sta pagando un prezzo elevato, forse troppo, sull'altare della riduzione delle emissioni di Co2: «Guai se si dovesse andare oltre il 20-20-20 già stabilito. Il nucleare deve ancora arrivare e sarebbe meglio se si procedesse in maniera più spedita. Non dimentichiamo inoltre che i costi della riduzione delle emissioni di Co2 si è abbattuto quasi esclusivamente sulle imprese, mentre va tenuto conto che una parte importante di tali emissioni è generata dal residenziali e dai trasporti e lì molto ancora resta da fare».
Emilio Mussini, vicepresidente di Confindustria Ceramica, punta il dito contro il prezzo ancora troppo caro del gas, nonostante la liberalizzazione. E chiede che nell'ambito del decreto di agosto, proprio sulla liberalizzazione dell'utilizzo dello stoccaggio da parte delle imprese, tra le norme attuative vi sia quella che permette di immagazzinare il gas in estate, quando i prezzi sono più bassi. Quanto alle rinnovabili, il numero uno di Assofond, Enrico Frigerio, rileva che al momento rappresentano un costo aggiuntivo sulla bolletta energetica, con qualche dubbio sulla nascita e sullo sviluppo di una filiera, in particolare quella del fotovoltaico, dove il meccanismo degli incentivi finirebbe per avvantaggiare, ad esempio, il leader mondiale nella produzione di pannelli, vale a dire la Cina: «Non molto resterebbe attacco all'Italia», sostiene il presidente dell'associazione che raggruppa le nostre fonderie e che stima il costo delle incentivazioni sulle rinnovabili in una cifra superiore ai 3 miliardi di euro. L'auspicio, trattandosi di un obiettivo strategico per l'Italia, è di non far ricadere tale costo solo sui consumatori.
Sul fronte degli incentivi, sia Massimo Goldoni, presidente di Unacom, l'Unione nazionale costruttori di macchine agricole, che Alfredo Mariotti, segretario generale di Federmacchine, hanno sostenuto la necessità, in nome della tanto conclamata green economy ma anche in nome della sicurezza sul lavoro, di facilitare il rinnovamento dei macchinari dell'industria italiana: «Più del 30% delle macchine ha superato i 20 anni d'età. Bisogna trovare uno schema efficace per permettere alle imprese di far uscire dagli impianti quelle attrezzature che non rispondono più ai requisiti normativi sull'ambiente e sulla sicurezza», dice Mariotti. Il discorso cade inesorabilmente sulla Tremonti Ter: «Molte imprese hanno vissuto nella speranza che venisse prorogata, ma tale speranza è stata disattesa», dice Fabrizio Carmagnini, direttore di Amafond, l'associazione di macchine e materiali per fonderie, mentre Francesco Savelli, vicepresidente della stessa associazione fa notare come la sua azienda abbia potuto aggiudicarsi un grosso contratto di fornitura negli Stati Uniti anche grazie agli incentivi ventennali concessi dello stato dell'Iowa al gruppo che aveva deciso di ammodernare i propri impianti.
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L'IMPATTO

137 miliardi
Ricavi delle associazioni
Le categorie che partecipano al forum sviluppano nel complesso oltre 137 miliardi
di euro di ricavi, erano 175 l'anno precedente, prima della crisi globale. Oltre
la metà di questi ricavi
è sviluppata sui
mercati esteri.
572mila
Addetti in Italia
Le categorie danno lavoro a quasi 600mila addetti, più della metà di questi sono dipendenti di aziende aderenti a Federmacchine e Anima. Lo scorso anno l'occupazione è dimunuita del 5%.
Le associazioni
Piero Starita Presidente Amafond «I costi di sistema e gli oneri sul lavoro mettono a rischio la competitività»
Sandro Bonomi Presidente Anima «Governo carente sulla politica industriale Made in Europe cruciale per difendere le Pmi»
Paolo Culicchi Presidente Assocarta «Settore a rischio per concorrenza sleale e dumping sui prezzi dei paesi asiatici»
Enrico Frigerio Presidente Assofond «Fonti rinnovabili da incentivare con la fiscalità generale, non attraverso le bollette»
Giuseppe Pasini Presidente Confindustria Metalli «Tempi troppo lunghi per le infrastrutture, serve una riforma globale del sistema»
Emilio Mussini V.pres. Confindustria Ceramica «Prezzi del gas elevati, speriamo che i decreti attuativi sugli stoccaggi invertano questo trend»
Alfredo Mariotti Direttore Federmacchine «Rottamazione di macchinari e rinnovo della Tremonti ter cruciali per resistere»
Massimo Goldoni Presidente Unacoma «Regole e normative troppo rigide, favoriti i paesi che non rispettano questi requisiti»

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