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Questo articolo è stato pubblicato il 12 ottobre 2010 alle ore 08:54.
MILANO
Il recente proponimento dell'Unione europea di sospendere i dazi in ingresso dal Pakistan per 74 linee tariffarie, quasi tutte riguardanti il tessile e l'abbigliamento, è una decisione che rischia di creare dei seri problemi al settore del tessile italiano e che, nella realtà, non serve affatto ad aiutare le popolazioni pakistane, colpite dalle drammatiche alluvioni della scorsa estate. Questa l'opinione espressa da Michele Tronconi, presidente di Sistema Moda Italia, in una lettera aperta inviata ieri al presidente del Consiglio e a diversi ministri del governo italiano.
Per Tronconi, il tessile italiano sarà il più colpito dalla decisione Ue, senza che le popolazioni colpite dalle calamità naturali in Pakistan ne ricavino alcun vantaggio: «Il nostro paese – sottolinea – sarà il pagatore d'ultima istanza della beneficenza comunitaria. Le imprese pakistane del settore insistono su di un'area che non coincide con quella danneggiata dalle alluvioni; si tratta di un'industria in piena efficienza». In gioco, secondo il presidente di Sistema Moda Italia, ci sarebbero circa 120mila posti di lavoro in tutta Europa e 40mila solo nel nostro paese. Per Tronconi, la questione è non mettere in gioco con una mossa avventata il primato italiano: «Siccome la nostra industria è ancora annoverata tra quelle leader a livello mondiale, è del tutto ovvio che la si voglia battere».
Alla lettera aperta di Tronconi ha risposto Adolfo Urso, vice ministro dello Sviluppo economico, il quale ha dichiarato di «condividere le apprensioni del settore tessile italiano nei confronti di una decisione che, come sembra essere articolata, pesa gravemente sulla filiera senza avere effetti diretti positivi sulle popolazioni colpite dalle calamità. Si dimentica che Islamabad è il principale e più temibile concorrente dell'Italia nei prodotti confezionati in cotone. È giusto - conclude Urso - dare la massima solidarietà al Pakistan, utilizzando però strumenti che siano più diretti ed efficaci e anche più equamente distribuiti».
Per Alberto Paccanelli, managing director della Martinelli Ginetto, società della bergamasca che produce in Italia e Ungheria con un totale di circa 450 dipendenti e un giro di affari intorno ai 60 milioni di euro, il rischio è che l'ipotizzata decisione dell'Unione europea «crei un effetto distorsivo del mercato. Se poi pensiamo – continua Paccanelli – che anche Cina e India potrebbero andare a reclamare una revisione dei dazi, la situazione potrebbe peggiorare. Certo dipende anche da quali saranno i prodotti su cui si interverrà. Teniamo infatti presente che l'Italia è principalmente una nazione trasformatrice. E poi – conclude Paccanelli – l'iniziativa dell'Unione Europea è del tutto inutile dal punto di vista umanitario».