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Questo articolo è stato pubblicato il 16 ottobre 2010 alle ore 09:45.
Si può restare aggrappati al territorio d'origine, specie se è un territorio problematico come il Napoletano, ed essere proiettati sui mercati internazionali? Stefania Brancaccio, cavaliere del lavoro e titolare della Coelmo, produttore di gruppi elettrogeni con sede ad Acerra, è riuscita a dimostrare con la sua attività che è possibile mantenere il manifatturiero in Italia. Anche se a un certo punto, qualche anno fa, la tentatazione di delocalizzare inseguendo una manodopera più a basso costo è stata molto forte. Che cosa ha trattenuto, allora, l'imprenditrice da un passo spesso naturale e condiviso da molti campioni del made in Italy?
La Coelmo, 50 dipendenti diretti, esporta il 70% del fatturato e il fatto di avere praticamente il mondo come mercato di riferimento, con una buona penetrazione nel Maghreb e nel Golfo, ha in parte attenuato i contraccolpi della crisi. Stefania Brancaccio è più preoccupata di come vanno le cose in Italia, di avere un territorio di riferimento «che a volte, anzi spesso, sembra volerti risucchiare verso il basso, trascinarti in un pantano». È l'orgoglio di una imprenditrice meridionale che sintetizza la difficoltà del fare impresa al Sud con una battuta: «Siamo bravi a ballare come Ginger Rogers, certo, solo che dobbiamo ballare coi tacchi a spillo e non le dico la fatica». Nonostante la crisi il processo di innovazione nella sua azienda è continuato e tra poco Coelmo riceverà la certificazione Ohsas, sul sistema di gestione della sicurezza e della salute sul lavoro. Aspettative e richieste da questo forum? Maggiore attenzione delle banche «ai beni intangibili di un'impresa, alle idee innovative», una riduzione della pressione fiscale e un alleggerimento della burocrazia: «Prendiamo l'Irap. È mai possibile che qui in Campania, per finanziare la sanità, sia più alta di 3 punti percentuali rispetto alla media nazionale?». (A.Ger.)