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Questo articolo è stato pubblicato il 16 ottobre 2010 alle ore 09:45.
Opera in un settore, quello tessile, e all'interno di un distretto, quello pratese, tra i più colpiti dalla crisi. L'internazionalizzazione, l'autofinanziamento e la flessibilità del modello produttivo, però, hanno consentito al gruppo di Vincenzo Cangioli (lanificio e rifinizione) di tornare a crescere nel corso di quest'anno. «Siamo ripartiti nel secondo trimestre, dopo aver perso il 25% del fatturato nel biennio 2008-2009», racconta Cangioli, 45 anni, esponente della quinta generazione d'imprenditori che fondarono l'azienda ben 151 anni fa. Il gruppo pratese, che ha 44 dipendenti, di cui 14 ancora in cassa integrazione, chiuderà il 2010 con 20 milioni di ricavi (+10%), al 75% realizzati sui mercati internazionali. «La ripresa è trainata proprio dall'estero, mentre il mercato italiano continua a flettere - dice Cangioli -. Per questo se la cava meglio chi esporta». Un eufemismo, per non dire che che era rivolto unicamente alla clientela domestica è stato spazzato via dalla concorrenza internazionale.
I punti di difficoltà, però, non mancano. «La penalizzazione arriva dai costi industriali - spiega l'imprenditore -. Dall'energia al lavoro, paghiamo più dei nostri concorrenti europei e le Pmi sono colpite in modo particolare dalla pressione fiscale, per colpa dell'Irap che è davvero una tassa iniqua, e dal peso della burocrazia che rischia di schiacciare le aziende». La scommessa, in questo momento, è quella di riuscire a adeguare il modello di business, «diventando sempre più veloci e snelli, perché il mercato ce lo chiede, stando attenti a non compromettere la qualità del prodotto». In epoca di "cicli veloci", la visione di lungo periodo deve essere coniugata con la capacità di adattamento al mercato. Soprattutto in settori ritenuti "maturi" come il tessile abbigliamento. Ma l'esempio di Cangioli dimostra che risolvere l'equazione è possibile. (C.Per.)