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Economia Aziende

Cabassi, dalle sabbie del Ticino al 2015

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Questo articolo è stato pubblicato il 17 ottobre 2010 alle ore 06:40.


C'è chi li definisce immobiliaristi d'altri tempi, perché meno legati alla componente finanziaria del business. Figli della lungimiranza di un progetto che parte addirittura dai primi del '900 quando la nonna paterna, Luisa Farini, acquistò quei terreni che oggi sono diventati una parte cruciale del progetto Expo 2015. Sono la famiglia Cabassi, quella che, per intenderci, ha costruito Milanofiori e ha "sistemato" la vicenda Leoncavallo. Un misto di affari e mecenatismo che spesso ha intrigato sia destra che sinistra. Ma le sirene della politica non hanno mai attratto la famiglia, vicina, piuttosto, alla galassia del cattolicesimo ambrosiano, con il padre Pino, scomparso nel '92, da molti ricordato come affezionato del cardinal Martini, e gli otto figli, cinque maschi che portano il nome degli Evangelisti e del primo degli Apostoli e tre femmine, tutte che incorporano il nome Maria nel proprio, fedeli come lui. In primis Marco Cabassi (49 anni), che ha avuto anche una lunga esperienza in seminario. È stato proprio lui, assieme al fratello Matteo (44 anni), a trasformare il gruppo Cabassi in quello che è oggi, ossia una finanziaria, Raggio di Luna, con soci Marco, Matteo e le sorelle Maria Chiara e Maria Gabriella che controlla le due aziende quotate, la holding Bastogi e lo sviluppatore Brioschi. Di lui, si dice che sia anche un assiduo frequentatore di Don Virginio Colmegna e di Don Gino Rigoldi. Ha supportato il primo, da tempo impegnato per la comunità Rom. Disegno che Marco condivide anche con Alessandro Profumo, per lungo tempo uno dei banchieri di riferimento della famiglia. Ha aiutato anche il secondo, Don Gino Rigoldi al quale ha consegnato le chiavi di una cascina. Quella dove Don Gino ha dato vita al progetto che punta a recuperare anche i ragazzi più difficili. «È in comodato d'uso, gratuito, all'inizio dovevo restarci per due anni, ormai saranno più di dieci...» racconta sorridendo il sacerdote. A lui come anche ad altri, Marco e Matteo, hanno sempre giurato «che mai diventeranno palazzinari». E forse anche per questo negli anni del boom immobiliare, mentre i concorrenti andavano a nozze con i debiti e con gli investimenti a leva, hanno tenuto il freno a mano tirato. Bando alla speculazione, meglio, se possibile, qualche gesto distensivo verso la comunità, come nel caso del Leoncavallo. A metà degli anni '90, il centro sociale occupa un immobile dei Cabassi, Marco va dalla madre che gli chiede se lo sgombero rischia di provocare incidenti, lui risponde semplicemente sì e lei senza esitare chiosa: «Allora lasciamoglielo». Il Leonka è ancora lì, in via Watteau, tra tentativi di accordi e minacce di sfratto.

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Pochi rischi, passi prudenti e un fare da galantuomini che in molti riconoscono. Sarà per la sensibilità sociale sempre dimostrata dai genitori, per gli anni all'estero, parecchio impegnativi per Marco tra Cambogia e Sud America, per la morte del padre che li costrinse a gettarsi anima e corpo nell'impresa, a supporto della madre Laura, rimasta vedova a 52 anni, con otto figli tra i 34 e i 10 anni e un impero altamente diversificato ma anche fortemente minato nelle fondamenta, complice i quasi mille miliardi di esposizione che la galassia allora aveva nei confronti delle banche. Il problema lo risolsero madre e figli negli anni successivi, con l'aiuto di Paolo Andrea Colombo, il commercialista milanese che prese in carico il riassetto, dopo la morte di Giuseppe. Pino, per gli amici, era conosciuto anche con il soprannome di "el sabiunat", perché le fortune della dinastia hanno radice proprio nelle cave di sabbia del Ticino. Fortune diventate floride con il primo grande lavoro, quello di liberare Milano dalle macerie della guerra. Ma il passo che proietta il gruppo al centro della finanza milanese, anche se di salotti buoni i Cabassi non ne hanno mai frequentati, mal digerivano anche la schiavitù della Scala e delle sue liturgie borghesi, è Milanofiori. Quei 25 palazzi di cristallo argentato dotarono la città di quegli spazi per il terziario avanzato che il centro non poteva più offrire. E forse, fu proprio in quel periodo, che a Pino venne dato anche un altro soprannome quello di "mago del baratto", perché, si dice, alle ordinarie operazioni di compravendita preferiva le permute, le offriva anche agli architetti che realizzavano i palazzi. Da lì partì la diversificazione del gruppo, che per quasi due lustri tenne il controllo della Rinascente e tentò pure, anche se mal volentieri e con poca convinzione, l'ingresso nel Corriere della Sera. Il resto, è storia recente, con il "divorzio" consensuale tra i fratelli. La famiglia è troppo allargata perché tutti possano occuparsi degli affari di casa. Così scatta l'asta sulla Sintesi, la vecchia cassaforte dei Cabassi. La spunta la cordata composta da Marco, Matteo, Maria Chiara e Maria Gabriella. Gli altri, compresa la madre Laura, incassano la liquidazione, e tornano a concentrarsi sulle passioni innate, Giovanni si dedica alla fotografia, Maria Luisa alle quattro figlie, Luca all'architettura, Paolo all'arte.
Per i quattro ascesi al timone del gruppo, c'è il conto della crisi dell'immobiliare da pagare, meno salato di quello dei competitor: i debiti della cassaforte Raggio di Luna sono raddoppiati dal 2007 al 2009 (350 milioni di posizione finanziaria netta negativa) e anche per Brioschi l'esposizione è salita a 261 milioni ma le banche hanno già accordato la rimodulazione di scadenze e garanzie. Ora l'occasione Expo.
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