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Questo articolo è stato pubblicato il 23 ottobre 2010 alle ore 06:40.
ROMA
È "alta tensione" tra Fiat e sindacati. Le dichiarazioni di Sergio Marchionne («su Fabbrica Italia vogliamo chiudere entro l'anno») suonano come un ultimatum per Fim-Cisl e Uilm che sembrano per una volta ricompattarsi con la Fiom-Cgil nel muovere le critiche all'amministratore delegato.
Ma ad agitare le acque contribuisce anche l'annuncio della Fiat sulla disdetta, con decorrenza dal 31 gennaio 2011, per lo stabilimento Sata di Melfi degli accordi sulla metrica del lavoro, cioè sull'organizzazione ed i tempi del lavoro. Come accadrà per Pomigliano, anche nello stabilimento lucano entrerà in funzione il nuovo sistema ergonomico Ergo-Uas, con la riduzione dalle attuali due pause di 20 minuti ciascuna ad un regime di tre pause di 10 minuti ciascuna, nell'arco del turno di lavoro. Di fatto la prestazione lavorativa viene aumentata di 10 minuti. L'azienda ha convocato a Melfi un incontro il 9 novembre con i sindacati che protestano: «È una decisione unilaterale – sostiene Rocco Palombella (Uilm) – da un lato Fiat cerca il dialogo, dall'altro procede con atti unilaterali che contrastano con le intese sottoscritte. Non vorrei che vi fosse dietro una strategia tesa a cercare lo scontro con il sindacato per tirare fuori alla fine il cosiddetto "piano b" e disinvestire». Su questo punto c'è convergenza con le tute blu della Cgil: «A Melfi si sta ripetendo il caso Pomigliano, a partire dalle riduzioni delle pause - sostiene Enzo Masini (Fiom)-, con un atteggiamento provocatorio e non certo teso alla ricerca di un incontro. Non mi pare ci siano spazi per una riapertura ma solo per ulteriori strappi».
Sullo sfondo c'è il malessere di Fim e Uilm, firmatarie dell'accordo di Pomigliano, preoccupate per lo stallo del piano Fabbrica Italia: per i due sindacati dopo l'intesa con Federmeccanica sulle deroghe al contratto nazionale dei metalmeccanici, l'accordo per Pomigliano è blindato, così come le possibili altre deroghe che dovessero servire per gli altri stabilimenti. Ma Marchionne sembra avere motivi per pensare che Fabbrica Italia sia ancora a rischio, tanto da ribadire che servono garanzie di governabilità degli impianti per sbloccare l'investimento da 20 miliardi. Resta infatti da sciogliere il nodo della Fiom, contraria alle deroghe e pronta a un contenzioso giudiziario. Ma lo schema di Marchionne che entro due mesi vuole l'accordo con il sindacato viene contestato da Fim e Uilm: «Non possiamo fare un accordo sulle flessibiltà se non è chiaro il quadro degli investimenti», dice Giuseppe Farina (Fim) sostenendo che la Fiat «avrebbe già dovuto aprire i tavoli territoriali per definire investimenti e prodotti e per fare gli accordi: siamo in ritardo». Gli fa eco Palombella (Uilm): «Non siamo disponibili a firmare cambiali in bianco, Marchionne non può chiedere il sì dei sindacati a prescindere, deve prima esplicitare il piano industriale, gli investimenti, i nuovi modelli, aprire la trattativa e quindi noi valuteremo». Questo clima di tensione fa dire alla Fiom che «Fabbrica Italia è sempre più lontana, tanti annunci e, in buona sostanza, nulla di più».