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Questo articolo è stato pubblicato il 25 ottobre 2010 alle ore 08:22.
«Un incubo», «una spada di Damocle che ci rende fragili». Antonio Alunni, 39 anni presidente e amministratore delegato di Fucine Umbre di Terni e vicepresidente nazionale della Piccola industria, non trova altre parole per descrivere lo stato d'animo delle Pmi nel bel mezzo della guerra delle valute.
Quali sono le difficoltà che la sua impresa in particolare deve fronteggiare?
Nel settore dell'aeronautica che ruota intorno al mondo del dollaro la volatilità del cambio è un problema enorme. I contratti hanno una durata molto lunga e i margini di manovra sulla contrattazione sono ristretti. Siamo costretti a ridurre i margini all'osso. Il rafforzamento dell'euro ci pone in uno svantaggio competitivo notevole.
Alcune imprese stanno tentando di affrontare l'emergenza facendo gioco di squadra.
Va bene il gioco di squadra, ma dipende sempre dal terreno su cui si svolge la partita. Il problema qui ricade sui governi e sulla Bce. Occorre un maggior coordinamento sul fronte della politica monetaria a livello globale, ma anche la Banca centrale europea deve fare la sua parte, perché l'attuale livello dell'euro mette in difficoltà le imprese. La moneta unica è stata una grande conquista, ma oggi è troppo rivalutata.
Nel quadro a tinte fosche non vede neppure uno spiraglio di luce?
Qualche spiraglio c'è e non è di poco conto. La difficoltà sul fronte competitivo rende obbligatorio uno scatto verso una maggiore capacità di innovare e sulla ricerca della qualità. La guerra delle valute spinge poi in avanti l'internazionalizzazione, una scelta indispensabile perché il mercato domestico è piccolo. La Cina è il grande obiettivo, ma non deve essere l'unico. Ci sono altri paesi più vicini a livello geografico, come quelli del Mediterraneo, o storico come il Sudamerica. Qui le Pmi italiane possono avere possibilità di crescita.