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Questo articolo è stato pubblicato il 27 ottobre 2010 alle ore 14:01.
BERKELEY – Alla fine del 2008, mentre la crisi finanziaria imperversava, i paesi del mondo si divisero in due categorie: da una parte quelli i cui leader si arrabattavano alla meno peggio, dall'altra la Cina. Solo i cinesi presero sul serio le tesi di Milton Friedman e John Maynard Keynes secondo cui, di fronte alla prospettiva di una depressione, la prima cosa da fare è usare il governo per intervenire strategicamente sui mercati per sostenere il flusso di domanda aggregata.
In seguito, all'inizio del 2010, i paesi che si erano arrabattati alla meno peggio si sono a loro volta divisi in due gruppi: mentre quelli le cui finanze erano solide hanno continuato ad arrabattarsi, quelli come Grecia e Irlanda, le cui finanze erano in dissesto, non hanno avuto altra scelta che perseguire l'austerità e cercare di recuperare la loro credibilità fiscale.
Oggi stiamo assistendo ad un'altra divisione, questa volta tra i paesi che continuano ad arrabattarsi e la Gran Bretagna. Sebbene la credibilità finanziaria del governo britannico sia ancora intatta, l'amministrazione del Primo Ministro David Cameron sta per imbarcarsi in quella che potrebbe essere la più grande e profonda contrazione fiscale di sempre: un piano per ridurre il deficit di bilancio pubblico del 9% di PIL nei prossimi quattro anni.
Finora la Cina è quella che che sta reagendo meglio alla crisi. Il gruppo dei paesi che si sono arrabattati segue. E quello dei paesi il cui crollo di credibilità ha forzato i governi a seguire la strada dell'austerità sta facendo ancora peggio.
Ora la domanda è la seguente: è la Gran Bretagna – la cui fiducia nel governo non è crollata e in cui l'austerità non è imposta ma scelta – destinata a discendere in fondo alla classifica e fungere da insegnamento per gli altri?
Un tempo il governo di Cameron sosteneva che le sue politiche avrebbero prodotto un boom, facendo passare la Gran Bretagna per la prima della classe alla Fiera della Credibilità e quindi riducendo i tassi d'interesse a lungo termine e causando un enorme incremento degli investimenti privati. Adesso sembra aver abbandonato questa tesi a favore dell'idea che l'incapacità di ridurre le spese produrrebbe un disastro. Citando George Osborne, il Chancellor of the Exchequer: