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Questo articolo è stato pubblicato il 30 ottobre 2010 alle ore 09:25.
«Ci muoviamo tutti nel vuoto. Al rallentatore. È come se la politica avesse rinunciato al suo ruolo. Però, in questi anni, anche noi abbiamo sbagliato. Fuori dal Palazzo c'è un mondo. E, in questo mondo, imperversano i comitati del no che bloccano ogni cosa. Perché non esistono i comitati del sì? Perché noi non li abbiamo costituiti?». Barbara Gallo è una piemontese non retorica la cui azienda di famiglia, la Progind, realizza ad Azeglio, in provincia di Torino, stampi per materie plastiche e per lamiera destinati all'automotive (60 addetti e 5,5 milioni di fatturato). E, da quarantenne, non lesina una sorta di autocritica civile e generazionale quando pensa al traforo per la Tav in Valsusa, su cui l'Unione europea ha ormai perso la pazienza, prospettando il ritiro definitivo dei soldi.
Non c'è un sentimento plebeo di antipolitica, qui a Capri. E neppure facile giacobinismo. C'è però un senso di insoddisfazione verso lo scioglimento del paesaggio partitico che fa il paio con la consapevolezza che la vera ripresa tarda ad arrivare. Un contesto finanziario e produttivo incrinato dalle afasie che hanno rallentato ogni scelta economica fra appartamenti di Montecarlo, banchetti trimalcioneschi in cui la politica sembra dedicarsi all'autofagia e Bunga Bunga.
«Sento molto la spaccatura fra vecchi e giovani». Fa l'equivalenza fra ceto politico e gerontocrazia Valentina Faricelli (35 anni), che a Pescara ha fondato una casa editrice tecnica specializzata in turismo e nautica. «Ma come, loro dovrebbero essere i nostri riferimenti. E che fanno? Ci affossano. O, per lo meno, affossano la nostra reputazione. A me piacerebbe lavorare con l'estero. Che immagine abbiamo, però?». Uno specchio emotivo agitato che riguarda anche le infrastrutture. «Cosa le devo dire – spiega l'editore calabrese trentanovenne Florindo Rubbettino – sa quanto impiegano i camion con i nostri libri, partendo da Soveria Mannelli, a raggiungere Roma?». No, ce lo ricordi. «Sette ore e mezza per fare 600 chilometri». E fa un po' malinconia pensare ai suoi 150 titoli nuovi all'anno che salgono a ottanta all'ora, quando tutto va bene, verso le librerie del resto del paese. Riflette Florindo, nome da Aureliano Buendia nella Macondo bellissima e tragica che è la Calabria di oggi: «È un momento strano. Negli ultimi due anni, nonostante la recessione, i ricavi dei libri sono cresciuti del 10 per cento. Però, la sovrapposizione fra mercato e politica produce complessità». E lui, che fra tipografia industriale e casa editrice dà lavoro a 95 persone e fattura una decina di milioni di euro, non si sottrae a una riflessione sui limiti di un ceto imprenditoriale poco abituato al mercato: «Da noi c'è insieme troppa politica e troppo poca politica. Abbiamo bisogno delle infrastrutture, che non sono come Dio comanda. Ma lo stato datore di lavoro non ci fa bene, soprattutto qui al Sud». Ad aggravare la condizione economica ci sono le geometrie inefficaci che esistono fra i diversi livelli della politica. A Campobasso l'azienda di famiglia di Michele Scasserra, 40 anni, produce pasta con il marchio Colavita e fa edilizia (in tutto 110 addetti con 25 milioni di fatturato). Per una realtà come quella molisana che rischia di essere schiacciata dal suo nanismo demografico ed economico (300mila abitanti e 35mila imprese, per lo più micro), il tema dei soldi pubblici è essenziale. «Soltanto – rileva – che il piano nazionale e quello regionale si muovono con obiettivi diversi: Roma deve contenere le finanze, Campobasso invece difficilmente si sottrarrà alla logica della spesa pubblica per il mantenimento del consenso». Una morsa che, finora, nella più ampia partita del contenimento dei budget sanitari ha prodotto il congelamento dei fondi Fas: «Si rende conto di quanto pesino quei 450 milioni, per una regione che ha un bilancio di soli 800 milioni? Per le nostre imprese sono vitali».