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Economia Gli economisti

Cinque imperativi per il G20

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Questo articolo è stato pubblicato il 05 novembre 2010 alle ore 16:31.


NEW YORK – Le economie del mondo stanno diventando più interdipendenti che mai, ma il nazionalismo economico, il protezionismo e le politiche del tipo «beggar-thy-neighbor» stanno mettendo in pericolo i legami di fiducia e cooperazione di cui necessita un’economia realmente globalizzata.

Per evitare un’altra recessione o qualcosa di peggio, i leader delle 20 nazioni più ricche al mondo devono agire attivamente durante il vertice del G20 di Seul, per promuovere un ampio piano d’azione volto a una crescita globale più bilanciata, equa e sostenibile, e per verificare la reale messa in atto delle decisioni prese.

Sono cinque i principi che dovrebbero guidare il loro operato. Il primo: contrastare attivamente il miope interesse personale, pur dovendo annullare le differenze relative alle politiche commerciali ed economiche. È necessario tenere a freno rispettivamente l’eccessivo surplus di alcuni paesi e l’eccessivo debito di altri, alimentati da valute sottovalutate e dalla sfrenata spesa dei governi. I paesi devono impegnarsi a non trattenere, per ragioni politiche, le esportazioni delle principali risorse naturali e devono fare tutto il possibile per mantenere e favorire l’apertura dei mercati in base a principi di reciprocità e di sostenibilità a lungo termine.

Per far sì che ciò avvenga, tutti i principali attori coinvolti devono garantire il libero scambio all’interno di un sistema globale giusto ed equo e devono comunicare tale impegno al proprio pubblico con rispetto, vigore e costanza. In veste di maggiori potenze commerciali a livello mondiale, gli Stati Uniti e la Cina, nello specifico, devono combattere, ognuno all’interno del proprio paese, quelle tendenze volte ad innalzare barriere occulte o a intraprendere inappropriate azioni di rappresaglia realizzate per placare l’opinione pubblica nazionale. Tutte le economie devono occuparsi degli sconvolgimenti interni che potrebbero manifestarsi con l’apertura dei mercati.

Il secondo: profondere maggiore impegno per progredire con gli accordi commerciali multilaterali, soprattutto in relazione alla chiusura dei negoziati del Doha Round. Sebbene la proliferazione di accordi commerciali bilaterali in tutto il mondo non sia un fattore negativo, l’economia globale potrebbe soffrirne fortemente, se tali accordi andranno a scapito degli accordi globali, che potrebbero essere nettamente più efficaci per rilanciare la crescita globale.

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Tags Correlati: Asia Society | Bill Clinton | Cina | Consiglio di sicurezza | Jamie Metzl | Politica | Project Coordinator | Simona Polverino | Stati Membri | Stati Uniti d'America | Zachary Karabell

 

Il terzo: in un’economia globale sempre più interdipendente serve un migliore coordinamento delle politiche monetarie e fiscali di tutti i paesi. Il G20 deve attivarsi con maggiore tenacia per armonizzare le politiche economiche e commerciali tra paesi e continenti al fine di catalizzare la crescita globale. A fronte di economie sempre più solide devono essere eliminate quelle inutili barriere verso flussi di capitale oltrefrontiera e verso investimenti diretti esteri.

In modo analogo, dobbiamo muoverci più rapidamente sul fronte degli apprezzamenti valutari, spinti dal mercato, che si verificano in tutto il mondo, e occuparci dell’alto tasso di indebitamento di molti paesi sviluppati. Il G20 può altresì rivestire un ruolo più forte nel valorizzare le competenze dei regolatori all’interno di un ambiente fortemente globalizzato e dovrebbe sviluppare un quadro di regolamentazione reciprocamente concordato per far evolvere i mercati finanziari.

Il quarto: bisogna impegnarsi in modo massiccio per sbloccare l’enorme potenziale umano ed economico di 1,4 miliardi di persone che nel mondo vivono in estrema povertà e senza mezzi di sussistenza. Nove milioni di bambini muoiono ogni giorno prima di compiere cinque anni; 69 milioni di bambini in età scolare non frequentano la scuola; 884 milioni di persone non hanno accesso all’acqua potabile; e 2,6 miliardi di persone non hanno accesso ai servizi igienico-sanitari di base.

Istruire e aiutare i gruppi poveri e svantaggiati nel mondo, incluse le donne, non è solo un obbligo morale, è anche uno dei migliori investimenti che i leader mondiali potrebbero mai fare per ottenere una crescita sostenibile, a lungo termine. Le nazioni del G20 devono attivarsi in primis per fare in modo che questo avvenga.

Infine, il quinto: promuovere l’innovazione come fattore di crescita a lungo termine. In questo caso servono investimenti più efficaci nel campo dell’istruzione e della ricerca e sviluppo, maggiore protezione della proprietà intellettuale e nuove collaborazioni internazionali che aiutino a favorire azioni comuni nel settore energetico, nella protezione ambientale, nei servizi sanitari e in altre aree.

Il comunicato finale rilasciato il 23 ottobre dai ministri delle Finanze del G20 solleva molte delle questioni sopracitate. Ma le parole dei ministri saranno vane se, alla pari delle altre dichiarazioni rilasciate nei precedenti vertici del G20 di Londra e Toronto, gli stati membri non tradurranno le parole in fatti.

Di fronte a un’America meno capace di rivestire il ruolo di leader nella gestione dell’economia mondiale, la responsabilità, per certi versi, ora si è spostata nel G20, con Usa e Cina in prima linea, per impostare un ciclo di collaborazione e coordinamento, a parole e a fatti, che possa guidare la crescita economica globale per il ventunesimo secolo.

Se i leader del G20 vengono meno a tale responsabilità e, al contrario, scelgono la strada del nazionalismo economico, potrebbe delinearsi un futuro buio.

Jamie Metzl, membro del Consiglio di sicurezza nazionale durante il mandato di Bill Clinton, è vice presidente esecutivo di Asia Society. Zachary Karabell è presidente di RiverTwice Research. Hanno ricoperto rispettivamente l’incarico di Project Coordinator e Project Director della .

Copyright: Project Syndicate, 2010.www.project-syndicate.orgTraduzione di Simona Polverino

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