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Questo articolo è stato pubblicato il 10 novembre 2010 alle ore 07:37.
Il rischio c'era. Non maggiore rispetto ad altre aree del paese, ma c'era. Ed è stato sottovalutato. Si parla del rischio idrogeologico, del quale si discute soprattutto a disastro compiuto. C'è un'indagine recentissima (ottobre 2010) condotta da Legambiente Veneto con la Protezione civile che dà indicazioni importanti sul grado di vulnerabilità del territorio regionale nei confronti di alluvioni e frane. I comuni che presentano aree critiche sono 161, il 28% del totale, di cui 41 a rischio frana, 108 a rischio alluvione e 12 sia a rischio di frane che di alluvioni: «Sebbene tali dati dimostrino come in Veneto la porzione di territorio esposta ad elevato rischio sia minore rispetto ad altre regioni italiane – sostiene l'indagine di Legambiente – è evidente che il pericolo di frane e alluvioni non può essere sottovalutato».
Se da un lato si invocano i mutamenti climatici, con le piogge sempre più intense e concentrate in brevi periodi, dall'altro si sottolinea una gestione poco attenta del territorio, per cui «se osserviamo le aree vicino ai fiumi salta agli occhi l'occupazione crescente delle zone di espansione naturale con abitazioni e insediamenti industriali e zootecnici». Dall'indagine risulta inoltre che solo il 45% dei comuni interpellati ha svolto un lavoro positivo di mitigazione del rischio idrogeologico, vale a dire azioni coordinate di delocalizzazione di abitazioni e fabbricati industriali, campagne di prevenzione e informazione, sistemi di monitoraggio e allerta, censimento dei soggetti vulnerabili.
«Con le inondazioni dei giorni scorsi siamo purtroppo di fronte a un evento che prima o poi doveva e poteva capitare», dice con amarezza Luigi D'Alpaos, docente di idraulica all'università di Padova e uno dei massimi esperti del settore. Amarezza perché è dal 1967, anno successivo alla grande alluvione, che partecipa a varie commissioni e gruppi di studio il cui obiettivo è la creazione di sistemi per ridurre il rischio idraulico e geologico del nostro territorio. «Sono passati quarant'anni e anche le conclusioni della Commissione De Marchi sono rimaste sostanzialmente lettera morta». Un periodo durante il quale c'è stato il solito palleggio di responsabilità, fino ad arrivare alle recenti inondazioni. Secondo D'Alpaos non bisogna inoltre fare troppo affidamento nella statistica, che di solito mette una certa distanza tra il verificarsi di due eventi eccezionali della stessa tipologia, e ricorda che alla grande piena del settembre 65 ne seguì nel novembre dell'anno successivo, una ancora più catastrofica.