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Gli Stati Uniti e la sindrome da fine impero

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Questo articolo è stato pubblicato il 09 novembre 2010 alle ore 16:08.


BERKELEY – Un vago senso di declino si è impadronito ultimamente degli Stati Uniti. La proiezione imperiale eccessiva, la polarizzazione politica ed una costosa crisi finanziaria gravano sull'economia. Alcuni intellettuali si preoccupano adesso che l'America sia sul punto di soccombere a quella che può essere definita come la sindrome da fine impero.

Minacciati da un rallentamento duraturo della crescita, gli Stati Uniti di oggi, così come la Gran Bretagna uscita stremata dalla Seconda Guerra Mondiale, saranno forzati a ridurre i loro impegni internazionali. Questo lascerà spazio a potenze emergenti come la Cina ed esporrà il mondo ad un periodo di elevata instabilità geopolitica.

Per analizzare queste dinamiche, è importante comprendere la natura della sindrome da fine impero vissuta dalla Gran Bretagna. Il problema non fu semplicemente che Stati Uniti e Germania crebbero più rapidamente della Gran Bretagna dal 1870 in poi. Dopotutto, è naturale che paesi che accedono allo sviluppo più tardi crescano molto rapidamente, come è il caso della Cina di oggi. Il vero problema fu l'incapacità della Gran Bretagna, verso la fine del diciannovesimo secolo, di fare in modo che la propria economia avanzasse.

La Gran Bretagna fu infatti troppo lenta a modernizzarsi e a passare dai vecchi settori della prima Rivoluzione Industriale a settori moderni come quello dell'ingegneria elettrica: questo intralciò l'adozione di metodi di produzione avanzati. Non riuscì neanche a sviluppare macchinari elettrici di precisione, il che precluse la produzione dei componenti elettronici utilizzati nell'assemblaggio di macchine da scrivere, registratori di cassa e veicoli a motore. Lo stesso si può dire di altri settori moderni del tempo, come i tessuti sintetici, i coloranti ed il telefono, in nessuno dei quali la Gran Bretagna riuscì ad occupare una posizione di rilievo.

L'ascesa di nuove potenze economiche con costi di produzione più bassi rese inevitabile la perdita di occupazione in settori datati come il tessile, il metallurgico e la cantieristica. Tuttavia il maggiore fallimento della Gran Bretagna fu quello di non riuscire a rimpiazzare queste vecchie industrie del diciannovesimo secolo con nuove produzioni da ventesimo secolo.

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Tags Correlati: Barry Eichengreen | California | Cina | David Brooks | Francesco Di Comite | Gran Bretagna | Sanità | Università di Cambridge | Università di Oxford

 

È l'America votata allo stesso destino? Per rispondere a questa domanda è necessario capire le ragioni alla base dello scarso avanzamento tecnologico della Gran Bretagna. Una celebre spiegazione è la presenza di una cultura locale che denigrava il lavoro e l'imprenditorialità. Nel lungo processo di modernizzazione della Gran Bretagna, le classi industriali sono state assorbite dalla classe dirigente. A partire dalla metà del diciannovesimo secolo, le migliori menti britanniche si sono riversate nella politica, e non nell'imprenditoria. I dirigenti aziendali cresciuti all'interno dell'azienda erano, si sostiene, di qualità inferiore.

Negli Stati Uniti di oggi si può intravedere una simile evoluzione. Citando David Brooks del New York Times: A seguito di decenni di benessere, gli Stati Uniti si sono allontanati da quella mentalità pratica che è stata alla base della ricchezza della nazione... Le menti più brillanti degli Stati Uniti stanno abbandonando l'industria e l'impresa basata sulla produzione a favore di campi più prestigiosi ma meno produttivi come la legge, la finanza, la consulenza e l'attivismo nel campo delle associazioni senza scopo di lucro.

Questa possibile spiegazione del declino britannico, tuttavia, non ha resistito alla prova del tempo. Non c'è alcuna evidenza sistematica che la qualità dei dirigenti in Gran Bretagna fosse così bassa. Di fatto, allargare la base di possibili dirigenti aziendali andando oltre gli eredi dei fondatori dell'impresa ebbe esattamente l'effetto opposto: permise ai migliori di emergere.

Anche nell'America di oggi è difficile trovare un riscontro reale di questo presunto problema. Le compagnie della Silicon Valley non stanno soffrendo di una penuria di dirigenti di talento. Non vi è alcuna carenza di neolaureati con MBA che diano vita a nuove imprese o che vadano a lavorare per imprese automobilistiche.

Un'altra spiegazione popolare del declino britannico mette sotto accusa il sistema educativo. Le università di Oxford e Cambridge, fondate molto prima dell'era dell'industrializzazione, producevano eminenti storici e filosofi, ma pochi scienziati ed ingegneri. È difficile, comunque, vedere come questa spiegazione possa adattarsi al contesto degli Stati Uniti, le cui università restano ai primi posti delle classifiche mondiali e attraggono laureati in materie scientifiche ed ingegneristiche da tutto il mondo – molti dei quali restano nel paese.

Altri ancora sostengono che la Gran Bretagna declinò a causa del suo sistema finanziario. La banche britanniche, cresciute agli inizi del diciannovesimo secolo, quando l'apporto di capitale necessario allo sviluppo industriale era modesto, si specializzarono nel finanziamento del commercio estero piuttosto che negli investimenti all'interno del territorio nazionale, privando così l'industria del capitale necessario alla crescita.

Tuttavia, la presenza di un'effettiva distorsione degli investimenti britannici a favore dell'estero piuttosto che del mercato interno è debole. E, ad ogni modo, questo fenomeno sarebbe irrilevante per gli Stati Uniti di oggi, che sono importatori netti di investimenti diretti esteri.

Un'ultima spiegazione dell'incapacità britannica di mantenere la sua posizione di leadership attribuisce la colpa alla sua politica economica. La Gran Bretagna non riuscì a dotarsi di una efficace legislazione contro le concentrazioni industriali e, in risposta al collasso della domanda nel 1929, eresse alte barriere tariffarie. Al riparo dalla competizione estera, l'industria divenne ipertrofica e pigra. A seguito della Seconda Guerra Mondiale, l'alternanza continua tra governi di destra e di sinistra portò ad un'estrema volatilità legislativa che danneggiò la stabilità e diede vita a problemi finanziari cronici.

Questa è la spiegazione più convincente del declino della Gran Bretagna. Il paese non riuscì ad elaborare una risposta politica coerente alla crisi finanziaria degli anni '30. I suoi partiti politici, piuttosto che lavorare insieme per fronteggiare i pressanti problemi economici, si accanirono l'un contro l'altro. Il paese si ritrasse su se stesso. La sua classe politica si frantumò, le sue politiche divennero erratiche e le finanze sempre più instabili.

In breve, la Gran Bretagna cadde vittima di un fallimento politico, non economico. E questa storia, purtroppo, sembra ricalcare perfettamente l'attuale evoluzione degli Stati Uniti.

Barry Eichengreen è Professore di Economia e Scienze Politiche alla University of California, Berkeley.

Copyright: Project Syndicate, 2010.www.project-syndicate.orgTraduzione dall'inglese di Francesco Di Comite.

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