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Questo articolo è stato pubblicato il 18 novembre 2010 alle ore 08:03.
È l'industria metalmeccanica a soffrire maggiormente il gap occupazionale legato ai profili tecnici. A caccia di periti e ingegneri specializzati, seppur con il contagocce, le imprese del comparto continuano ad assumere anche in tempi di crisi. Delle circa 110mila professionalità richieste senza esito dal mondo produttivo (secondo le stime pubblicate ieri sul Sole 24 Ore, elaborate dal Club dei 15), circa una su quattro si concentra in questo comparto. Segue con il 12,5% il commercio e la grande distribuzione organizzata, con l'8% l'industria chimica e farmaceutica.
La domanda riguarda, in termini assoluti, principalmente i tecnici amministrativi e commerciali, quindi i ragionieri, ma lo squilibrio si fa particolarmente marcato negli stabilimenti industriali di Lombardia e Triveneto. Periti industriali, chimici o ingegneri metalmeccanici sono «merce rara e preziosa», commentano gli uffici del personale in alcuni distretti produttivi del Nord. «Un tempo si cercavano figure meno specializzate – afferma Nicola De Iorio Frisari, direttore del personale di A2A –. Oggi il numero di assunzioni si è molto ridotto, così come il bacino da cui possiamo attingere. Ecco perché la selezione è diventata molto più rigida». Insomma, pochi ma buoni: le imprese sono molto esigenti e, soprattutto nelle grandi città dove la concorrenza è elevata, bisogna avere proprio tutte le carte in regola per essere assunti. Attraverso il voto di maturità o di laurea si fa una prima scrematura («non basta più una votazione di 80/100, servono almeno 90/100», confermano più fonti) e poi l'esperienza fa la differenza. «La preparazione delle scuole non è adeguata – continua il direttore del personale di A2A – e, se sul mercato ci sono pochi tecnici preparati, quei pochi ce li contendiamo in tanti».
Oltre alle leggi del mercato, quindi, si deve aggiungere la scarsa formazione ed ecco che il gap diventa ancor più marcato. «Annualmente escono dalle scuole 5-6mila diplomati dagli istituti tecnici e professionali – afferma Gianpaolo Pedro, vicedirettore di Confindustria Veneto con delega alla formazione e lavoro –. È un dato largamente insufficiente per un'economia prevalentemente manifatturiera, per il 30-35%, come il Veneto». In particolare dopo la crisi, lo squilibrio è stato alimentato dalla corsa alla specializzazione, elemento determinante nelle regioni ad alta vocazione industriale per competere su scala globale: secondo le statistiche del sistema informativo Excelsior 2010 (Unioncamere - ministero del Lavoro) la domanda di professionalità tecniche si concentra per il 23,5% in Lombardia, seguita dall'11,6% in Lazio, il 9% in Emilia Romagna e l'8,9% in Veneto.