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Questo articolo è stato pubblicato il 24 novembre 2010 alle ore 20:17.
Certamente non rasserena le relazioni con i sindacati – già al calor bianco per lo scontro sul ventilato scioglimento del Fondo di solidarietà del settore – la raccomandata, ancitipata via fax, con cui ieri l'Associazione bancaria italiana ha comunicato a Dircredito, Fabi, Falcri, Fiba/Cisl, Fisac/Cgil, Silcea, Sinfub, Ugl Credito e Uilca il licenziamento di 80 dipendenti. Si tratta di 31 impiegati e 49 quadri, un quarto dei suoi 308 dipendenti. In base alla legge 223 del 1991, gli esuberi (78 a Roma, due a Milano) sono motivati dall'Abi per ragioni organizzative e contabili: «Ormai da più di un quinquennio l'Associazione chiude i propri bilanci con un sistematico disavanzo, rimasto pressoché stabile nella sua misura complessiva di circa 5,5 milioni, come previsto nel preconsuntivo 2010 (6,6 milioni nel 2009)», scrive l'associazione.
D'altronde, spiega la lettera, «negli anni l'Abi è intervenuta ripetutamente sul fronte del contenimento dei costi, ma le misure adottate si sono rivelate insufficienti a risolvere la situazione... Non è possibile operare interventi di natura transitoria o una tantum... I ricavi non sono suscettibili di incremento anche a motivo della complessità della condizione del settore che coinvolge le imprese associate».
«C'è uno stridìo assordante tra la voce dell'Abi che ci preannuncia la possibilità di chiedere lo scioglimento del Fondo di solidarietà e la stessa Abi che a pagina 4 della sua lettera ci spiega che "si rende disponibile a valutare il ricorso al Fondo", se vi sono i requisiti, per i suoi esuberi», sostiene Massimo Masi, segretario generale della Uilca. Una cacofonìa che, presto o tardi, dovrà essere risolta.