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Catricalà resta all'Antitrust

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Questo articolo è stato pubblicato il 28 novembre 2010 alle ore 06:40.


ROMA
Tornano in alto mare le nomine per l'Authority dell'energia. Con una mossa che in verità meditava da qualche giorno, il presidente dell'Antitrust, Antonio Catricalà, designato per la presidenza dell'Autorità per l'energia, ha deciso di fare un passo indietro e restare nel suo ruolo fino alla scadenza del mandato. «Ho scritto al presidente del consiglio per comunicargli la mia decisione di rimanere all'Antitrust - ha reso noto ieri -. Sono un uomo delle istituzioni e non voglio consentire che l'Autorità che presiedo e l'Autorità dell'energia siano paralizzate da veti incrociati che pur non riguardano la mia persona». I veti sono quelli Pd, di Fli, dell'Italia dei valori e in parte dell'Udc. Si tratta dei parlamentari delle commissioni attività produttive della Camera e del Senato riconducibili all'opposizione, sia di centrodestra che di sinistra, che nei giorni scorsi avevano minacciato di far mancare il numero legale al momento del voto, a maggioranza dei due terzi, sul parere obbligatorio per le nomine. I parlamentari chiedevano, infatti, che prima del voto fosse designato il successore di Catricalà al vertice Antitrust. Finiani e Pd puntavano l'indice contro il rischio di una reggenza a tempo indeterminato del consigliere anziano, Antonio Pilati, dal momento che Gianfranco Fini e Renato Schifani, presidenti delle due camere, difficilmente in questa fase politica possono trovare un'intesa sul candidato da designare assieme. Pilati viene additato come un uomo del premier Silvio Berlusconi e considerato il ghost writer della legge Gasparri sull'emittenza tv. Ma la sensazione è che lo "spauracchio" di Pilati sia in realtà servito a dissimulare altri dissidi. Anche perchè, secondo alcuni, ammesso che Pilati sia un berlusconiano doc, resta il fatto che sia già consigliere di un'autorità che non ha poteri in materia di tv. Lo scenario che emerge dietro le quinte è un forte conflitto scoppiato all'interno del Pd, che ha salutato con favore il pacchetto nomine per l'energia, salvo poi rimangiarselo qualche giorno dopo. Questo conflitto si è ben presto saldato con la strategia degli esponenti di Fli. Nei giorni scorsi Fini avrebbe tentato di ribadire il gradimento un candidato per l'Antitrust, avanzando il nome di Giampiero Massolo, segretario generale degli Affari esteri, anche se sul tavolo c'erano anche altri nomi. Il Pdl, però, avrebbe risposto picche puntando su Giovanni Castellaneta, presidente di Sace. «L'incapacità della maggioranza di nominare il successore di Catricalà ha provocato l'impasse di queste ore», dice Enrico Letta, vicesegretario Pd: «L'opposizione, esplicitando che il voto favorevole sull'Energia ci sarebbe dopo l'indicazione del successore di Catricalà, ha esercitato una prerogativa nell'interesse generale».

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Tags Correlati: Alberto Biancardi | Alessandro Ortis | Antonio Catricalà | Camera dei deputati | Concorrenza | Consiglio di Stato | Giampiero Massolo | Idv | Pd | PDL | Renato Schifani | Roma | Senato | Silvio Berlusconi | Udc | Valeria Termini |

 

La strategia comune tra finiani e Pd ha già fatto dire a qualche malizioso che siamo alle prove generali per un governo tecnico. «Mi sono dimesso da responsabile per l'energia del Pd - spiega Federico Testa, componente della commissione attività produttive - perchè ritengo quelle nomine poco valide. Per di più hanno aperto un pericoloso fronte sull'Antitrust: per questo abbiamo deciso di far mancare il numero legale al momento del voto». Quelle nomine sarebbero state decise da Enrico Letta, con il placet del segretario Pd Pierluigi Bersani e d'accordo con Paolo Romani, ministro per lo sviluppo economico, che aveva l'avallo di Gianni Letta. Ben presto, però, un'ala più veltroniana del partito ha puntato l'indice contro i commissari Alberto Biancardi e Valeria Termini, considerati troppo "lettiani", accusando il vertice del partito di aver aperto la strada all'ascesa di Pilati.
«Si tratta del risultato di giochi di palazzo che vanno al di là della volontà di condivisione politica - ha commentato il ministro Romani - le conseguenze di questa tardiva polemica ricadranno ancora una volta sui cittadini». Questi giochi rischiavano di trasformarsi in una bomba ad orologeria che Catricalà ha fiutato, togliendo le castagne dal fuoco al Governo. «Chi ricopre un ruolo istituzionale deve perseguire l'interesse pubblico, le aspirazioni vengono dopo. Altrimenti che differenza ci sarebbe tra un civil servant e un libero professionista» si è sfogato ieri con i collaboratori. «Ho voluto evitare un rischio di paralisi nelle due autorità - ha spiegato ai suoi - sapevo che i veti non erano sul mio nome. Avevo accettato solo perché avevo avuto ampia assicurazione che sul mio nome c'era il gradimento del Pd». Adesso la palla passa di nuovo a Romani ma il rischio di doversi inventare una forma di proroga c'è. Il presidente Alessandro Ortis ha chiesto un parere al consiglio di Stato: se lascia a metà dicembre infatti potrebbe rischiare un'accusa di abbandono, se resta e firma qualche documento qualcuno potrebbe ravvisare l'abuso d'ufficio.
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