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Questo articolo è stato pubblicato il 01 dicembre 2010 alle ore 15:45.
Il settore delle costruzioni non ci sta a sparire in silenzio. Migliaia di imprenditori piccoli e medi - ma non mancheranno le rappresentanze delle grandi imprese - arriveranno da tutta Italia per dare vita stamattina a Roma, davanti a Montecitorio, a una manifestazione di piazza che è un inedito assoluto per il settore, tradizionalmente appartato e filogovernativo. I tempi dei grandi abbracci con Silvio Berlusconi e delle grandi promesse del premier sono lontani secoli. Studenti universitari permettendo, sfileranno e parleranno di fronte alla Camera dei deputati anche i sindacati dell'edilizia, a rendere il settore ancora più compatto. In tutto 14 sigle fra imprese e lavoratori, riunite negli «stati generali delle costruzioni»: in prima fila l'Ance e ci sono anche gli artigiani, le cooperative, la filiera rappresentata da Federcostruzioni. Sfileranno i sentimenti di rabbia e di preoccupazione che in questi ultimi due anni si sono andati esasperando in un tessuto imprenditoriale sempre più sfilacciato e incerto, di fronte a una miscela esplosiva di circostanze, in parte attribuibili alla responsabilità politica, rea di aver fatto promesse sempre rinviate e mai mantenute, in parte alla crisi immobiliare che ha gonfiato a dismisura gli immobili invenduti e ha mandato per aria i conti di molte aziende.
Il primo ingrediente di questa miscela è il crollo degli investimenti pubblici in costruzioni, che nel 2011 registreranno il sesto risultato negativo negli ultimi sette anni, con una riduzione della spesa effettiva dal 2005 al 2011 calcolata dal Cresme in un 21% in termini reali. L'ultimo triennio è stato terribile: riduzione del 6% nel 2008, del 7% nel 2009, del 4,9% nel 2010, mentre per il 2011 lo stesso istituto di ricerca prevede un'ulteriore caduta del 3 per cento. Tutto questo mentre altri paesi, come Francia e Spagna, hanno fatto degli investimenti nelle costruzioni il volano per far ripartire più velocemente il Pil. Qui le poche risorse teoricamente destinate alla realizzazione delle opere grandi e piccole - quasi tutte derivanti dal Fas - sono state bloccate e ritardate in un balletto di delibere Cipe durato ormai due anni. Per altri usi il Fas è stato impiegato con celerità ben maggiore.