Questo articolo è stato pubblicato il 07 dicembre 2010 alle ore 19:07.
Il tessile biellese va all'asta. A prezzi di saldo. Duecento ero al metro quadro per portarsi a casa pezzi importanti di storia industriale. Fabbriche e nomi che hanno costruito nei decenni il primato di un distretto che ha saputo conquistare mezzo mondo – dall'Europa agli Stati Uniti al Giappone – con filati, tessuti e abbigliamento di alta qualità. Fino al declino, scandito prima dalle delocalizzazioni nell'Est Europa, poi dalla concorrenza asiatica (cinese e indiana) infine dalla crisi mondiale nata all'indomani dell'11 settembre 2001 e dalla ricaduta, virulenta, del 2008, innescata dal tracollo Lehman Brothers e trasmessa come un virus dalla finanza alla cosiddetta economia reale.
Il 16 dicembre il tribunale di Biella ha fissato l'incanto per due importanti complessi industriali: quelli che un tempo ospitavano le filature Smeraldo di Cossato e Blotto Baldo di Biella, a due passi dal centro città. Non sono i primi, non saranno neanche gli ultimi. Per la Smeraldo la richiesta parte da 4,3 milioni per un'area di circa 20mila metri quadrati. L'altro lotto costa 1,3 milioni, ma è già al secondo tentativo di vendita: al primo il valore era di 1,7 e nessuno si è fatto avanti.
Troppo elevata l'offerta di immobili industriali dismessi e svuotati rispetto a una domanda che stenta, limitata dalla crisi ancora presente e dall'ubicazione: il Biellese continua a scontare quell'isolamento che un tempo era considerato quasi un valore aggiunto – «siamo un'isola felice» dicevano imprenditori e politici, tra cui l'allora sindaco Luigi Petrini ancora a inizio anni 90 – e che oggi pesa come una zavorra.
«Un valore complessivo di una ventina di milioni di euro» «Sul territorio la disponibilità di immobili a uso produttivo è di circa 600mila metriquadri» dice Giancarlo Lacchia, responsabile dell'area Territorio infrastrutture e attrazione investimenti dell'Unione industriale biellese, attingendo a una stima prudenziale della stessa Uib. Ma tra gli addetti ai lavori (avvocati, commercialisti, sindacati e imprenditori) si pensa che il patrimonio industriale dismesso possa essere quasi doppio. «Solo per i grossi complessi in vendita, che sono una decina – afferma l'avvocato Domenico Monteleone che gestisce le vendite Smeraldo e Blotto Baldo – si può parlare di un valore complessivo di una ventina di milioni di euro». Tuttavia, come ricorda Monteleone, «l'interesse di eventuali acquirenti subentra quando gli immobili si svalutano, anche di un 30 - 40% ».
Del resto l'offerta salta agli occhi lungo i cosiddetti «assi della pianurizzazione», come li chiama Giancarlo Lorenzi, segretario della Femca, i tessili della Cisl. Tra gli anni 70 e 90 le aziende «avevano lasciato le vallate per spostarsi verso le aree meglio servite» ricorda il sindacalista. Un'infilata di stabilimenti tra Biella e il casello di Carisio dell'autostrada Torino-Milano; un'altra teoria di fabbriche tra il capoluogo e Cossato: a Vigliano, Valdengo, Quaregna, Lessona, sulla direttrice per Valsesia, Novarese, Lombardia. Oggi quegli edifici scorrono davanti, la maggior parte vuoti, con certelli vendesi già scoloriti dal sole e dalle intemperie.
Un flusso di "attaccafili" diretti al lavoro Un tempo la vita era scandita dalle sirene degli stabilimenti e sulle strade era un flusso di "attaccafili" diretti al lavoro: è il soprannome dato agli operai addetti alle filature, che riannodavano il filo quando questo si rompeva. All'inizio degli anni 50 il distretto occupava quasi 50mila persone. Nel 1970 le aziende erano circa 2mila, per 40mila addetti. Fino agli anni 90 sembrava che «i tessuti più belli del mondo» – come gli imprenditori definivano le loro produzioni – non avrebbero conosciuto crisi. Anzi. Si pensava di formare manodopera all'estero, dall'est Europa al Marocco, per far fronte alla carenza di personale. Prima del 2000 si valutava un fabbisogno di manodopera specializzata nell'ordine di diverse migliaia di unità e a Città Studi – il polo di formazione che oggi ospita università, il Laboratorio di alta tecnologia tessile, Cnr e Tessile e salute – si sfornavano progetti per formare lavoratori oltreconfine in funzione delle esigenze delle aziende.
L'attentato alle Torri gemelle di New York ha cambiato tutto Portando alla luce problemi che covavano sotto la cenere: elevato costo della manodopera, difficoltà a fare sistema, gli effetti devastanti della globalizzazione cui il polverizzato mondo delle Pmi faticava e fatica a rispondere in termini di competitività. Solo alcuni grandi gruppi si sono strutturati e hanno saputo imporsi a livello mondiale – Ermenegildo Zegna e Loro Piana su tutti – passando da produttori di tessuto a brand del lusso. Per la maggior parte degli altri la strada si è fatta sempre più in salita. L'obiettivo era far parte della nicchia dell'alta qualità, ma nelle nicchie, si sa, c'è posto per pochi. Per definizione. E dopo qualche anno l'altra crisi, ancora più violenta, nel 2008.
Così si è eroso il distretto. Ora ci sono 729 imprese e 13mila occupati, con un fatturato poco sopra i 3 miliardi (quando prima viaggiava verso i 5-6). Non mancano le vittime illustri del ridimensionamento: Filatura di Lessona, Filatura di Quaregna, Pettinatura Italiana. Molte le aziende note che hanno vissuto o stanno vivendo periodi di difficoltà. La Pettinatura di Verrone sta ristrutturando. Il Lanificio Carlo Barbera è stato ceduto alla napoletana Kiton. E sono solo esempi.
Il distretto – Unione industriale, Camera di commercio, parti sociali – è da tempo che cerca di correre ai ripari, sfruttando anche il contratto d'insediamento varato dalla regione Piemonte, che prevede «un contributo fino al 10% dell'investimento per chi decide di trasferire attività produttive in Piemonte da fuori regione» ricorda Lacchia. In settimana è prevista la firma del contratto per la Manuex, indotto Ikea, che assumerà 200 persone nella ex Fraver di Quaregna: altra vittima illustre del recente passato. La Manuex inizierà a installare i macchinari da gennaio, avvierà la produzione da giugno e andrà a regime da inizio 2012. «Con il contratto di insediamento abbiamo già portato sul territorio quattro aziende – ricorda Giancarlo Lacchia, che all'Uib segue direttamente il problema delle ricollocazioni – occupando circa il 5% degli spazi disponibili sul territorio». La rilocalizzazione punta anche a diversificare: «I casi già definiti riguardano tessile tecnico, energie alternative, legno arredo». Oltre alla Manuex sono arrivate Tessiltaglio, Filidea, V-Energy. «E per la prossima settimana abbiamo organizzato un incontro tra possibile domanda e offerta, con potenziali progetti per il territorio». L'appuntamento, quasi un segno del destino, è sempre il 16 dicembre, giorno delle aste, ma questa volta in Camera di commercio a partire dalle 14, quando è previsto il Workshop b2b Biella, Produces. E tra i fattori d'attrazione il distretto ora mette sul tavolo anche l'acqua, nel tentativo di invogliare investimenti nell'agroindustria. Sul territorio si è già sviluppato il cosiddetto "comparto delle bollicine", che annovera Coca Cola, Lauretana, Fonte Guizza (gruppo San Benedetto), birra Menabrea: «L'acqua del Biellese – precisa Giancarlo Lacchia – ha contribuito alla fortuna delle lavorazioni tessili, ed è particolarmente adatta, per caratteristiche chimico-fisiche, anche alle produzioni alimentari».
Qualcosa si muove E per Luciano Donatelli, presidente degli industriali, ci sono margini di recupero: «Bisogna superare i prossimi due anni, quando ci saranno ancora problemi di ricollocazione di manodopera in età avanzata a causa delle ritrutturazioni aziendali ancora in corso. Ma se sapremo mantenere un presidio nelle produzioni di fascia alta, puntando sulla tracciabilità delle fasi di lavorazione (dalla materia prima al finissaggio), sui tessili tecnici e sulla salute, potremo raccoglierne i frutti. La domanda mondiale di prodotti certificati, anche nel tessile-abbigliamento, sta crescendo. E come Biellese e come Italia siamo l'unico paese al mondo ad avere ancora un manifatturiero di alto livello». Si profila, secondo Donatelli, doppio paradosso. Il primo: «I cinesi, dopo averci invasi con prodotti scadenti e copiati, ora chiedono la tracciabilità per i nostri prodotti in ingresso nel loro paese. E' come se Cicciolina dicesse a Madre Teresa di comportarsi bene». Il secondo: sempre la Cina, che ha contribuito alla disgregazione del distretto, potrebbe garantirne il futuro. «Il reddito procapite dei cinesi è destinato a più che triplicare in dieci anni: oggi è di circa 3mila euro, salirà a 10mila. Si aprono spazi enormi per il segmento "value for money": elevata qualità a prezzi ragionevoli, che si affiancherà al made in Italy di lusso che già presidia quel mercato». Anche Giancarlo Lorenzi vede delle potenzialità: «Il tessile a Biella continuerà ad esistere. Abbiamo cultura industriale, esperienza, manodopera qualificata. Sono vantaggi che bisogna saper vendere. Ma occorre un progetto e bisogna risolvere il problema delle infrastrutture». Un tema che ritorna. Come un mantra. Del collegamento autostradale diretto si parla da 40 anni, del potenziamento ferroviario anche. «La mancanza di collegamenti strategici non invoglia gli imprenditori a spostarsi nel Biellese», sintetizza Domenico Monteleone.
Quasi da indurre il sospetto dell'alibi: «L'autostrada non risolve tutti i problemi – dice Lorenzi – ci sono esempi di imprese che sopravvivono lontane da reti di grande viabilità, ma chi viene da fuori chiede collegamenti, treni, internet veloce». Come sottolinea Giancarlo Lacchia «oggi le connessioni di Tlc efficienti contano quanto se non più delle strade vere e proprie». carloandrea.finotto@ilsole24ore.com