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Economia Gli economisti

Lo strumento per l’instabilità europea

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Questo articolo è stato pubblicato il 22 dicembre 2010 alle ore 15:37.


MONACO –L’Europa era destinata a diventare, entro il 2010, la società basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica a livello mondiale. Così, almeno, aveva proclamato ufficialmente la Commissione Europea nel 2000 nel contesto dell’Agenda di Lisbona. Sono passati dieci anni da quella coraggiosa promessa ed ormai è ufficiale: l’Europa ha il record di crescita più lenta a livello mondiale. Se infatti i membri dell’UE sono cresciuti del 14% negli ultimi dieci anni, l’America settentrionale è cresciuta del18%, l’America latina del 39%, l’Africa del 63%, il Medio Oriente del 60%, la Russia del 59%, Singapore, la Corea del Sud, l’Indonesia e Taiwan del 52%, l’India del 104% mentre la Cina del 171%.

Gli europei avevano pensato di raggiungere i propri obiettivi attraverso, tra le varie cose, una migliore protezione ambientale ed una coesione sociale più forte. Obiettivi senza dubbio ammirabili, ma che non rappresentano sicuramente delle strategie di crescita. L’Agenda di Lisbona si è rivelata, infatti, una farsa.

Il patto europeo di stabilità e crescita del 1995 non ha avuto un percorso migliore. I paesi UE hanno concordato di limitare i loro deficit fiscali al 3% del PIL per assicurare un contenimento del debito in euro, in modo tale che nessun paese potesse utilizzare la nuova valuta per rendere ostaggi i suoi vicini forzandoli a compiere operazioni di salvataggio. Nella realtà dei fatti, i paesi UE sono andati ben oltre il 3% stabilito per 97 volte.

In 29 casi le violazioni sono state concesse dalla dicitura originale del patto, visto il contesto di recessione in cui si trovavano i paesi. Ciò nonostante, gli altri 68 casi di eccedenza del 3% del PIL hanno rappresentato un’evidente violazione del patto ai quali il Consiglio Europeo dei Ministri delle Finanze (Ecofin) avrebbe dovuto rispondere con l’imposizione di sanzioni. Ma ad oggi nessun paese è mai stato penalizzato.

Le restrizioni legate al debito politico che i membri dell’eurozona si sono autoimposte non sono mai state prese sul serio in seguito a quel contesto, in quanto i peccatori ed i giudici si sono sempre trovati dalla stessa parte della barricata. Un soggetto degno di Kafka e Molière.

Nel corso di quest’anno poi due paesi, la Grecia e l’Irlanda, sono stati salvati dal resto dell’Europa anche se, in base all’articolo 125 del trattato UE, nessuno stato membro può prendersi carico del debito di un altro stato membro, garanzia che la Germania ha richiesto specificatamente come condizione necessaria per la rinuncia alla sua amata Deutschland. Questa dottrina di dura disciplina è stata abolita con un colpo maestro nel maggio del 2010 quando ci si è trovati di fronte ad un collasso mondiale che non si sarebbe potuto evitare senza l’intervento del portafogli della Germania.

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Tags Correlati: Angela Merkel | Bce | Consiglio Europeo | Corte Costituzionale | Ecofin | Eurostat | Germania | Grecia | Hans-Werner Sinn | Ifo Institute | Lisbona | Marzia Pecorari | Stati Membri | Titoli di Stato | Unione Europea

 

Il fatto che sia stata data la possibilità alla Grecia di unirsi all’euro con una semplice frode, ovvero dichiarando il rapporto PIL deficit al di sotto del 3% quando in realtà era ben al di sopra, rende emblematico il lassismo con il quale è stato definito il patto di stabilità e crescita. In seguito al comportamento ingannevole della Grecia, l’Eurostat (agenzia europea per le statistiche) ha dichiarato che il suo omologo greco e l’autorità suprema per la supervisione in Grecia avevano deliberatamente falsificato i dati. Ma la Grecia era ormai già un membro dell’euro, desiderosa ed in grado di tenere i membri dell’UE in ostaggio.

La Germania, da parte sua, ha deciso di aprire il suo portafogli ed è stato il primo paese ad intervenire per salvare la Grecia. Inoltre, al vertice che si è tenuto prima di Natale, i capi di stato europei hanno deciso di modificare il trattato UE legittimando lo strumento europeo per la stabilità finanziaria, ora ribattezzato strumento per la stabilità europea, e trasformandolo in un’istituzione permanente.

Una volta tornata a casa, il Cancelliere tedesco Angela Merkel, che per mesi aveva insistito per chiudere questa struttura, ha considerato questo passo come una vittoria sul resto dell’Europa. Si è trattato, infatti, di una concessione necessaria alla Corte Costituzionale tedesca che aveva sollevato la questione della mancanza di basi legali nelle misure di salvataggio. La partecipazione delle banche creditrici, che da lungo tempo sono state la conditio sine qua non per la Merkel, è stata ora relegata allo status di opzione.

Anche la Banca Centrale Europea ha perso la sua credibilità. Un anno fa’ ha promesso di non accettare più titoli di stato con rating BBB come garanzia collaterale per le sue operazioni monetarie. Ma anche questa promessa è stata messa da parte a maggio quando la Banca ha iniziato a comprare anche le obbligazioni greche ad alto rischio annunciando, nel frattempo, la duplicazione del proprio capitale.

Le manovre dell’UE potrebbero stabilizzare l’Europa a breve termine ed aiutarla ad affrontare in modo migliore gli attuali attacchi speculativi su alcuni titoli di stato, ma potrebbero comunque rischiare di portarla alla destabilizzazione a lungo termine. Se da un lato il contagio finanziario è oggi limitato alle interazioni bancarie, dall’altro le misure europee hanno ampliato i canali di contagio arrivando ad intaccare i budget pubblici.

E’ pur vero che il primo passo verso una catena potenziale di insolvenze pubbliche in Europa è stato fatto. Ma sebbene il rischio sia oggi limitato, sarebbe sempre più grande nel caso in cui lo strumento europeo per la stabilità finanziaria diventasse un’assicurazione a piena copertura contro le insolvenze, senza la condivisione di alcun peso tra i creditori. In vista dei prevedibili rischi demografici derivati dal diritto alla pensione, potrebbe essere stata innescata una bomba ad orologeria.

Ogni volta che i politici tentano di contrastare le regole ferree dell’economia, perdono. Anche in questo caso è andata così. Oltretutto, i politici sono contrari anche ai consigli accademici. Troppo spesso preferiscono le battute scorrette, almeno fino a quando l’ultima risata non sarà su di loro.

Hans-Werner Sinn è professore di economia e finanza pubblica presso l’Università di Monaco e Presidente dell’Ifo Institute.

Traduzione di Marzia Pecorari
Copyright: Project Syndicate, 2010.www.project-syndicate.org

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